Non si placano le polemiche dopo che l’ex ministro Carlo Calenda ha sferrato un duro attacco nei confronti dei videogiochi con una serie di tweet in cui sostanzialmente afferma che l’uso dei videogiochi è causa di analfabetismo. Sarebbe fin troppo facile attaccare l’ex ministro dato che le sue affermazioni che potrebbero essere liquidate come non documentate, propagandistiche e populiste. Calenda ha scritto testualmente: “i giochi elettronici (sono) una delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento” precisando che in casa sua non entreranno mai.
Le polemiche sono subito scoppiate sul web con una serie di commenti che si sono subito tramutati in minacce. Sfortunatamente quando si toccano certi argomenti è molto facile entrare nel preconcetto trasformando una discussione potenzialmente costruttiva in una faida. Ci troviamo difronte all’ennesimo attacco della politica al mondo dei videogiochi, attacco che probabilmente strizza l’occhio ai molti elettori che non conoscono assolutamente l’argomento. Personalmente credo che il tutto nasce da quello che può essere considerato un equivoco di fondo, cioè quello di considerare i videogiochi come un prodotto per bambini.
Forse lo sono stato in passato, ma i tempi di Super Mario sono molto lontani. Nel 2018 il mondo dell’intrattenimento videoludico è molto diverso da quello degli arbori, con semplici giochi programmati da appassionati sotto la cantina di casa, oggi parliamo di un business i cui ricavi che polverizzano i record dei film più costosi e popolari; le software house ed i publisher più importanti sono delle multinazionali quotate in borsa con migliaia di dipendenti e fatturati da capogiro.
Tra l’altro numerose ricerche hanno indagato sugli effetti diversi tipi di videogiochi sul funzionamento cognitivo e sui comportamenti sociali. E’ vero che l’esposizione a videogiochi violenti può aumentare il pensiero e comportamenti aggressivi in soggetti predisposti, ma anche se si abusa dell’acqua si può morire, è altresì vero che molti videogiochi, specificatamente progettati e adeguatamente usati hanno dimostrato potenzialità positive promuovendo e incrementando la formazione di abilità sociali e potenziando quelle cognitive, facilitando l’autoregolazione anche emozionale in quei soggetti con deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e promuovendo soprattutto l’acquisizione e/o incremento di capacità spaziali, di problem solving e abilità matematiche oltre a coordinazione visuo-motoria, destrezza manuale e reattività. Ultimo ma non meno importante: negli ultimi anni si stanno sviluppando videogiochi adatti a sostenere quei bambini e ragazzi con un disturbo specifico, come ad esempio la dislessia.
Come detto però l’errore di fondo è quello di considerare il videogioco come un prodotto per bambini: secondo un recente rapporto Aesvi (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani) la principale fascia di età dei videogiocatori in italia è tra i 25 e i 34 anni seguita a ruota da quella tra i 35 e i 44. Proprio ieri l’ Aesvi ha risposto con un comunicato molto duro, riconoscendo comunque i meriti dell’ex ministro che durante il suo mandato diede ascolto alla richiesta di dell’associazione di investire nel settore. Ma precisando:
“(Le affermazioni dell’ex ministro n.d.r.) ,ci fa(nno) capire quanta strada ci sia ancora da fare in Italia per ottenere un riconoscimento culturale e sociale per i videogiochi. All’estero oramai si fa a gara per sostenere il settore ed essere in prima linea nell’attrazione di investimenti e di talenti, nella produzione di creatività e innovazione, nella creazione di opportunità di lavoro e di impresa. In Italia ci scontriamo spesso e volentieri con posizioni come questa, a tutti i livelli. Posizioni che nella maggioranza dei casi dipendono dalla mancanza di conoscenza della materia e a volte purtroppo anche dalla mancanza di interesse o di disponibilità ad approfondirla quella materia. La nostra risposta come Associazione è continuare a fare il nostro lavoro di informazione e sensibilizzazione delle istituzioni con competenza e professionalità. Perché l’Italia non rischi di perdere una grande opportunità”.
Come i film, le serie tv e i programma televisivo anche i videogiochi possiedono un loro metodo di classificazione (quello europeo di chiama PEGI) dove attraverso un bollino tutti i videogiochi rientrano in una delle 5 categorie di età (3-7-12-16-18). Il problema semmai sono i genitori che dovrebbero impedire ai figli di usufruire di contenuti non adatti alla loro età.
Ma qui si entra in un terreno minato: è decisamente più facile accontentare i propri figli che controllarli e crescerli nel modo più corretto, cosa che richiederebbe molta più attenzione, tempo e fatica. C’è da dire che console sono dotate di funzionalità per limitare gli acquisti, impostare limiti di spesa, e bloccare i contenuti che superano una certa classificazione, ma se i genitori non accompagnano i loro figli nel loro percorso di crescita fatto di sport, amici, amori, studio ma anche di tanta tecnologia non possono dire di aver fatto un buon lavoro con loro. L’ex ministro Calenda, forse in un modo un pò goffo e qualunquistico ha comunque sollevato un problema che va affrontato: la solitudine e la pochezza culturale dei nostri figli che a volte evadono dalla realtà e dalle proprie responsabilità “anche” attraverso l’uso eccessivo dei videogiochi.
Ringrazio di cuore la collega Maggie Lee per le preziose informazione che hanno contribuito alla stesura di quest’articolo.