Era l’Estate del 1994, in punta di piedi e con la solita discrezione, un ragazzo di quasi ventisei anni, vince il premio Tenco per il miglior album d’esordio. E’ l’inizio di un lungo viaggio che porterà Daniele Silvestri, l’anno dopo sul palco dell’Ariston a rivoluzionare le esibizioni canore con un megafono e dei cartelloni scritti con un pennarello. Il brano era “L’uomo col megafono” che consacrò il cantautore romano e lo lancerà verso una serie di successi mai banali o ripetitivi. Sono passati venticinque anni da quella calda estate, ma quel ragazzo discreto e delicato ha ancora tanto da raccontare e cantare, fortunatamente in un periodo storico dove la musica veleggia verso lidi incerti, lui è lì, con il suo sorriso delicato e malinconico, le sue parole che si fondono nella musica in un amplesso perfetto.
Un concerto di oltre due ore, una scenografia spettacolare e una band con due batteristi e nove musicisti, un viaggio attraverso non solo la sua storia professionale,ma lungo tutti i cambiamenti politici e sociali, che in questo quarto di secolo hanno accompagnato l’Italia. Quando in scena entra Rancore, che con Manuel Agnelli lo ha accompagnato nell’ultimo Sanremo, la musica si fonde con le immagini e le luci, e le parole diventano ombre che danzano delicate fra gli spazi silenziosi del Palapartenope, ogni singola frase fa riafforare alla mente l’inizio di tutto.
Per chi ha vissuto questi ultimi venticinque anni, il percorso di Silvestri diventa di colpo il proprio percorso, perchè canzoni come “Le cose in comune“, “Salirò“, “Il mio nemico” “Gino e l’alfetta” almeno una volta ha accompagnato il nostro cammino, come un amico fedele, un silenzioso osservatore del mondo che è riuscito a rendere la propria passione un mestiere. E Daniele Silvestri, che possa piacere o meno, è capace con la sua complessa semplicità linguistica, a teletrasportare il ricordo a quei momenti in cui tutto era possibile, per poi diventare probabile, fino ad arrivare a far un resoconto completo della propria vita.
Il Palapartenope è gremito di suoi fan che, affamati della musica di Silvestri, cantano, ballano, applaudono e ascoltano, forse qualcuno addirittura si ferma a pensare. Sullo schermo scorrono gli anni e le immagini del tempo, un tempo in cui un uomo con un megafono aveva grandi speranze, inseguiva Y10 bordeux mentre contava le cose in comune con una ipotetica “lei”. Quel ragazzo è diventato uomo e lo ricorda con un altro ragazzo che è dovuto diventare uomo. Infatti sullo schermo appaiono le immagini dell’addio al calcio di Francesco Totti e il commento del cantante racchiude ermeticamente tutto il suo lungo percorso “Ci sono momenti in cui il tempo decide che bisogna crescere, non si è più ragazzi ma si diventa uomini e quello che facevi prima, non lo puoi fare più“. Non è il suo addio alla musica, ovviamente, ma mettere un punto in un lunghissimo capitolo che lo ha visto protagonista, la conclusione che anticipa un nuovo inizio, la trasformazione e la presa di coscienza che, anche se vogliamo a tutti i costi fermare il tempo, il tempo non si ferma, cammina, maledettamente veloce, senza aspettare, ti addormenti bambino e ti risvegli uomo.
Lo spettacolo di Daniele Silvestri è stato un concerto intimo, sensibile, dove le luci e i colori erano solo la cornice di uno spettacolo che andava oltre la semplice musica, un viaggio iniziato anni fa e che ci auguriamo possa arrivare ancora molto lontano. Perchè per quanto la musica possa virare verso altre sonorità e mode, l’arte avrà sempre bisogno di Daniele Silvestri, che racconta la sua verità con un sorriso sincero, capace di schiaffeggiare e prendere in giro i massimi sistemi, riuscendo a non essere mai offensivo. Un uomo con un megafono con dei cartelli in mano scritti con un pennarello, che sussurra la sua sofferenza, senza perdere mai la speranza che le cose possano davvero cambiare.