Gironzolando negli anfratti ombrosi della rete e origliando tra i vicoli virtuali in cui si ritrovano i cinefili di tutto il mondo, noto che da un po’ di tempo non si fa che parlare del neonato concorrente di Netflix, sbarcato negli USA esattamente 48 ore fa e pronto a diffondersi in tutto il pianeta nel giro di pochi mesi. A ragion del vero esiste già una nutrita concorrenza che sgomita lungo le succulente fibre ottiche delle nostre città, ma il brusio è giustificato questa volta. L’importanza del nuovo protagonista è difficilmente trascurabile poiché si tratta niente poco di meno che della Disney. Quando un leone di queste dimensioni decide che è arrivata l’ora di partecipare al banchetto luculliano dello streaming, nessuno può star seduto tranquillo. O la carcassa si rivelerà abbastanza grande per l’appetito di tutti o qualcuno presto patirà la fame.
Parliamo di un colosso da 60 miliardi di dollari di fatturato annui, di una delle più ricche e antiche società del pianeta con una storia alle spalle che oramai rasenta il secolo. Lungo il corso di questa lunghissima storia ha vissuto guerre mondiali, crack economici e rivoluzioni tecnologiche. Eppure ne è sempre uscita indenne tanto da essere oggi la regina dell’intrattenimento globale.
Ma da dove ha avuto inizio tutto questo?
Il biglietto dorato è l’unica fonte attendibile per ottenere una risposta soddisfacente. Come fosse un vecchio amico ha imparato a conoscermi. Sa bene che non sono interessato ai numeri quanto piuttosto al lato umano delle storie.
È il 18 novembre 1928, una domenica come tante altre qui a New York. Percorro la 53esima strada insieme ad una fiumana di persone ben vestite. Tutto appare molto rilassato e gioviale nella grande mela. Nessuno può lontanamente immaginare cosa si scatenerà tra meno di un anno a Wall Street, a pochi isolati da qui. Nemmeno il repubblicano Hoover, eletto da poco meno di due settimane, può conoscere la portata della crisi che sarà chiamato a gestire.
I miei passi si fanno più pesanti in prossimità del civico 1681. Si tratta dello Universal’s Colony Theatre. Ho imparato oramai a leggere i segni che mi vengono offerti, anche quando sono sottili ed impercettibili. In programma stasera sera c’è un film di Bert Glennon, dal titolo “Gang war”. Benché non abbia la minima idea della connessione che possa mai esserci tra l’origine dell’impero Disney e un dimenticato film sui gangster, decido di acquistare il biglietto.
Il teatro è davvero molto grande, ad occhio conterrà non meno di 1500 persone. I posti liberi sono pochi e appena scorgo una poltrona non occupata mi ci fiondo. Accanto a me noto un giovane con dei capelli perfettamente curati ed impomatati e dei sottili baffetti. È molto nervoso, quasi come se la donna amata stesse per dare alla luce un bambino. Non fa in tempo a spegnere una sigaretta che già ne ha accesa un’altra. La cosa mi infastidisce non poco, ma siamo negli anni ’20 e non ci sono divieti in merito. Supero la timidezza e mi presento. Si chiama Walter Elias, ha meno di 30 anni ed è un disegnatore. Con qualche domanda non troppo insistente cerco di conoscere meglio la sua storia. È un ragazzo che ha girovagato per gli States in cerca di fortuna per diversi anni. Ha già fondato un paio di società ma per varie vicissitudini sono tutte andate in bancarotta. Racconta che ha prodotto un breve cartoon dal titolo Steamboat Willie, che verrà proiettato prima del film principale. In realtà questo è già il terzo episodio di una serie che ha realizzato, ma per i primi due non ha trovato un solo distributore che fosse interessato. Racconta poi di come al momento ci sia una sola ed unica star nel mondo dei cartoni animati, Felix the cat.
Viene definito il Charlie Caplin dell’animazione. Anni prima – prosegue – ebbe un certo successo con un un altro personaggio, Oswald the lucky rabbit, ma gli era stato rubato da un distributore senza scrupoli.
“Questa di oggi è una prova che non posso fallire”, dice. Nonostante il nervosismo traspare un’enorme fiducia nelle proprie capacità e nel futuro in generale. Con un pizzico di malizia domando per quale ragione questo terzo cortometraggio dovrebbe attrarre più attenzione dei precedenti. Sobbalza dalla sedia in preda ad un certo furore. “Ma perché ho scoperto cosa mancava a tutti i miei personaggi fino ad oggi!”, risponde Walter. “Mancava il sonoro, mancava la musica!”.
Guardo intorno ed in effetti noto dei grossi altoparlanti nonostante il film di Glennon sia muto e le musiche affidate ad un’orchestra in carne ed ossa presente in sala.
La curiosità diventa davvero molta a questo punto. Siamo nel 1928 e se non erro solo The Jazz Singer dell’anno precedente aveva messo in scena un film con alcune parti di sonoro. Walter conferma e sottolinea come sia stata proprio la visione di quel film a fargli venire l’illuminazione. Ne è talmente convinto che per dotare il suo cartone di un audio sincronizzato alle immagini ha dovuto persino vendere l’amata automobile. “È stato un procedimento davvero complesso e costoso”, sottolinea.
Comprendo ora il nervosismo di questo giovane ragazzo. Davvero si sta giocando il tutto per tutto con questa proiezione.
Si abbassano le luci. Il cartoon che precede il film sta per partire. Walter accende un’altra sigaretta la cui sommità adesso brilla nel buio della sala. Sottovoce gli faccio un’ultima domanda: “Che animale hai scelto per far concorrenza al gatto Felix?”. Lui mi guarda sorridendo e risponde: “Ma è ovvio, un topo!”.
Solo adesso comprendo, a pochi istanti dall’inizio dello spettacolo. Quel topo è Mickey Mouse e il ragazzo accanto a me è Walter Elias Disney, conosciuto da tutti semplicemente come Walt Disney.
Eccolo lì, Mickey appare fischiettando alla guida del suo battello. Il pubblico è in visibilio. Non ha mai visto né sentito nulla di simile. Ogni azione è sottolineata da un suono ed ogni suono conferisce un senso nuovo alle immagini. È un tripudio. Le risate dei presenti sono così fragorose che quasi rischiano di sovrastare l’audio. Sono sufficienti 7 minuti per incantare gli spettatori che oramai, completamente dimenticato il film per cui realmente hanno pagato il biglietto, chiedono a gran voce che venga ritrasmessa l’avventura fluviale del giovane topo. Walt comprende che finalmente ha avuto il successo che sperava e ricercava da anni. Non può immaginare però che Mickey sarà il primo attore non umano della storia a ricevere una stella sulla Walk of Fame ad Hollywood o che ad esattamente 91 anni di distanza qualcuno ancora si interroga sull’origine della sua storia.
Da dove ha avuto inizio tutto questo? Adesso abbiamo la risposta anche se in un’intervista del 1954 sarà lui stesso a rispondere: “Spero che non ci si dimentichi mai di una cosa: tutto è cominciato con un topo”.