(Roma, 13 gennaio 1752 – Napoli, 20 agosto 1799)
Eleonora Fonseca de Pimentel nacque a Roma il 13 gennaio del 1752 da una ricca e nobile famiglia portoghese. Intorno al 1750,il padre si trasferì nella capitale pontificia con la famiglia del fratello, con loro c’era anche l’abate Antonio Lopez, che divenne poi istitutore di Eleonora
Nel 1760 i Lopez e i Fonseca si trasferirono a Napoli a causa dei forti attriti legati all’espulsione dei gesuiti dal Portogallo. All’epoca la città partenopea ospitava un’élite colta e raffinata. Fu proprio in questo ambiente che Eleonora Fonseca fece il suo debutto. A sedici anni frequentava i salotti culturali e dette alle stampe Il tempo e la gloria, componimento composto in occasione delle nozze fra Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina d’Asburgo. Lo scritto venne firmato con lo pseudonimo di Epolnifenora Olcesamante, pseudonimo che usava nell’Accademia dei Filaleti cui era entrata a far parte. Successivamente, col nome di Altidora Esperetusa divenne parte attiva nell’ Accademia dell’Arcadia, che creava produzioni ispirate agli ideali di classicità e razionalismo, in opposizione al gusto barocco dell’epoca.
Dopo il fidanzamento fallito col cugino Michele, Eleonora venne data in sposa nel 1778 ad un esponente della piccola aristocrazia napoletana: il tenente Pasquale Tria de Solis.
Mai coppia risultò così male assortita: lei elegante e assetata di sapere, lui gretto e ottuso, ostile alla cultura, molto violento e geloso che tra scenate e percosse le rese la vita impossibile. Dopo aver perso il primo figlio a soli otto mesi di vita, e due successive gravidanze interrotte a causa delle violenze del marito, costrinsero il padre di lei ad intraprendere nel 1784 una causa per il divorzio. Ma proprio in quel periodo morì il padre e lei si trovò in gravi difficoltà economiche, tanto da dover chiedere un sussidio mensile allo stato.
Durante la rivoluzione francese dopo la morte di Maria Antonietta per decapitazione nel 1789, la corte si chiuse in sé stessa, fino all’introduzione del reato d’opinione e alla persecuzione dei giacobini, che vennero condannati a morte.
Nel 1797 Fonseca si vide sospendere il sussidio reale di cui viveva, e l’anno successivo venne arrestata con l’accusa di leggere libri messi all’indice e di ospitare riunioni sediziose nei propri appartamenti. Venne poi arrestata e rinchiusa nel carcere di Vicaria nell’ottobre del 1798. Alla fine di dicembre le truppe francesi entrarono a Napoli mettendo in fuga la famiglia reale. Nella confusione del momento, il movimento popolare dei Lazzari prese d’assalto le carceri liberando detenuti comuni e politici, fra cui anche Fonseca,che si unì al comitato patriottico il cui intento era quello d’istituire una repubblica democratica. Con altri patrioti conquistò della roccaforte di Castel Sant’Elmo, e il 22 gennaio 1799 portò alla proclamazione della repubblica napoletana. In quei mesi la Fonseca prese le redini del Monitore napoletano, giornale e organo di stampa del governo rivoluzionario diventandone direttrice e autrice di molti articoli. La Fonseca credeva nella necessità di educare il popolo attraverso la divulgazione.
Il 13 giugno del 1799 l’esercito di Ferdinando IV, detto esercito della Santa Fede, ebbe la meglio sugli insorti che scapparono e per sfuggire alla morte si imbarcarono per Tolone. Una volta ripreso il suo potere il re il 30 giugno decretò la giunta di stato. La Fonseca allora scappò rifugiandosi su una nave. Ma mentre la nave stava per salpare, arrivarono i soldati del re per arrestarla insieme ad una decina di patrioti. Fu condannata a morte, e chiese di venire decapitata invece che impiccata, ma la sua richiesta venne rifiutata.Il 20 agosto del 1799 salì sul patibolo con altre sette prigionieri. Lei venne giustiziata per ultima.
il popolo per cui lei aveva lottato festeggiava la sua morte.