“In tanti sono convinti che alla mia età dovrei pensare ad altro. Per esempio a portare più spesso la mia fidanzata a vedere le vetrine dei negozi qui al Vomero, uno dei quartieri collinari più eleganti di Napoli.
Ma, tra me e me, mi rispondo che questo ragazzo sta lavorando duramente per un sogno, quello di diventare un giornalista. Uno di quelli bravi, scomodi, che usano la loro abilità nel mettere le parole al posto giusto per raccontare la verità. Uno di quelli che sperano che, attraverso la denuncia, prima o poi, cambi qualcosa.”
“La passione per il mestiere di giornalista ce l’ho sempre avuta, fin da ragazzino, quando ho iniziato a battere i tasti della mia macchina da scrivere con instancabile costanza. Fresco di maturità classica, ho fondato il Movimento Democratico per il Diritto all’Informazione e, ancora studente universitario, figuro nel libro paga di una delle più importanti testate giornalistiche del Mezzogiorno.”
“Osservo, giro per le vie di Torre Annunziata, non mi stanco di fare domande. Racconto le storie dei muschilli, i ragazzini utilizzati per consegnare le bustine di droga, mandati dalle loro famiglie sulle strade a fare da corrieri. Sputo sulla carta stampata il malessere e il degrado delle persone che popolano la provincia, spesso lasciate sole a convivere con l’illegalità e la delinquenza. Ed è proprio tra gli emarginati che la camorra recluta di continuo nuovi soldati e io non ho paura di denunciare le manovre dei clan camorristici, scrivere nome e cognome dei boss. Perché la criminalità, la corruzione, non si combattono soltanto con i carabinieri. Le persone per scegliere devono sapere, conoscere i fatti. E allora quello che un giornalista “giornalista” dovrebbe fare è questo: informare.”
Queste parole appartengono a Giancarlo Siani, giornalista – ma giornalista per davvero – nato a Napoli, nel quartiere Vomero, il 19 settembre 1959 ed ucciso dalla camorra, a soli ventisei anni, il 23 settembre 1985.
È importante riportare queste sue dichiarazioni, perché esse ci restituiscono la portata dell’impegno e la misura della passione che il giovane ha speso al servizio della giustizia. Siani, per l’appunto, sia pure nel breve periodo che ha potuto esercitare la sua attività, è stato un giornalista nel vero senso della parola, uno dei pochi che il nostro Paese ha saputo offrire. Coraggioso, sempre schierato dalla parte degli umili, amante della verità da trasmettere e rendere chiara ed illuminata attraverso l’arte della scrittura, egli non poteva che essere un elemento scomodo per i loschi affaristi che, da sempre, desiderano arricchirsi nel buio e nel marcio, con la bava alla bocca, bevendo sangue innocente. Le sue indagini dettagliate sulle realtà camorristiche e politiche campane e, in special modo, della città di Torre Annunziata, non potevano che farlo entrare nel mirino, come nemico numero uno, della criminalità del posto.
L’articolo che decretò la sua condanna a morte fu pubblicato su Il Mattino il 10 giugno 1985. Attraverso quel pezzo, venivano infatti rese note ed esplicite le modalità interne che avevano portato, a tradimento, all’arresto del boss Valentino Gionta, destabilizzando il clan Nuvoletta. E fu così che, con il beneplacito persino del siciliano Totò Riina, in combutta con loro, si decisero ad ammazzarlo.
Ebbene, oggi ricordare Giancarlo Siani è più che mai necessario, soprattutto per quanti sognano di intraprendere questa meravigliosa e complicata professione. Bisognerebbe, appunto, far capire alle nuove leve, ma a tutti in generale, cosa significhi veramente fare giornalismo e informazione, e sarebbe urgente offrire dei sani spunti. I modelli che quotidianamente riempiono televisioni e giornali, sia su carta che online, in questi anni, infatti, sono purtroppo tutt’altro che edificanti. In rete, ad esempio, c’è il dilagare dei cosiddetti “bufalari”, sempre intenti a lucrare, attraverso il “click-baiting”, con menzogne – note anche come “bufale” – e realtà distorte, fomentando, per giunta, razzismo e odio sociale. Poi, ogni giorno, siamo costretti ad assistere alle passerelle degli scribacchini al soldo dei partiti politici, il cui compito , piuttosto che informare, è quello di disinformare per le logiche e i tornaconti elettorali di chi li finanzia. Non è difficile, del resto, notare questa pietosa deriva con interi quotidiani – persino quelli connotati di una certa storia ed autorevolezza – che sono diventati uffici stampa di questo o quel politico. E a questa lunga lista, non dimentichiamo di aggiungere anche i tanti che si ergono sul piedistallo del moralismo e del paternalismo, vendendo futili parole nei salotti pettinati, senza mai essersi sporcati le scarpe sul campo.
Ovviamente, a risentire di tutta questa triste situazione è la verità e, conseguenzialmente, il benessere della democrazia. Un popolo lasciato nell’ignoranza, come insegna la storia, è notoriamente più facile da manipolare. Considerato ciò, non è un caso, e neppure una sorpresa, avere notizia del fatto che l’Italia figuri addirittura al settantesettesimo posto nella classifica delle libertà di stampa a livello mondiale.
Dunque, forse è giunto il momento di operare una seria riflessione su quello che sta diventando il giornalismo in Italia, e in tal senso, tra i nomi dei grandi del passato da poter usare come testimonianza ed insegnamento, è sicuramente da citare il nostro Giancarlo Siani, figlio illustre di Napoli e della Verità.