A Roma l’ unica tappa italiana della mostra “I Grandi Maestri. 100 anni di fotografia Leica” ospitata nel Complesso del Vittoriano-Ala Brasini fino al 18 febbraio 2018, una esposizione che indaga sul mondo della fotografia e in modo particolare sulle fotocamere Leica dal punto di vista tecnico, meccanico e documentaristico e dal punto di vista emozionale, autoriale e soggettivo di chi ha utilizzato le potenzialità di questa macchina fotografica. Sono oltre 350 le stampe d’ epoca originali di celebri artisti insieme ai documenti storici, filmati, locandine pubblicitarie vintage, riviste e libri che accompagnano il visitatore in un viaggio nel tempo e nella storia documentati dalla innovazione tecnologica come la “Ur-Leica”, il primo apparecchio da 35mm che innescò una metamorfosi nella nostra percezione della società e del mondo circostante. Una mostra divisa in 16 sezioni che intrecciano l’ ordine tematico a quello cronologico, dal fotogiornalismo di guerra alla fotografia di propaganda, da una ricerca umanista delle foto da studio a quelle di strada, da quelle in bianco e nero a quelle a colori fino ad arrivare alla sezione dedicata agli interpreti italiani d’ eccezione, Gianni Berengo Gardin, Piergiorgio Branzi, Paolo Pellegrin, Valerio Bispuri e Lorenzo Castore. La prima sezione è dedicata alla storia e alla evoluzione della Leica, ovvero della LEItz CAmera, una macchina compatta di 35mm realizzata nel 1914 da Oskar Barnack per l’ azienda Ernst Leitz Wetzlar, immessa nel mercato soltanto nel 1925, permise agli appassionati di accedere ad uno strumento professionale, a portata di mano e pronto all’ uso, piccola, leggera, capace di scattare 36 fotografie in rapida successione con un mirino a livello occhio pronto a catturare visivamente ciò che si presentava allo sguardo. Barnack, fotografo amatoriale, si cimentò nella fotografia di ritratto, di paesaggio e di animali, in bianco e nero, in orizzontale e verticale, diede una “Neues Sehen”, una Nuova Visione della realtà con la sua “macchina lillipuziana” che divenne successivamente “Leica”.
La Leica si adattava molto bene al genere del reportage, gli obiettivi intercambiabili consentivano di cogliere aspetti diversi della realtà senza cambiare punto di osservazione, i primi reportage presentavano una maggiore vitalità e naturalezza e una vicinanza del soggetto con l’ azione, anche se le immagini non erano ancora nitide, accurate e raffinate fu importante per documentare guerre, paesaggi e scene di vita quotidiana, come fecero Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, David Seymour e Aleksandr Rodcenko. Uno dei volumi fotografici più importanti di tutti i tempi “Images à la sauvette” fu pubblicato negli anni 50 del secolo scorso e presentava solo i migliori lavori dei fotografi fedeli alla Leica, alcuni scritti di Henri Cartier-Bresson divennero le linee guida per intere generazioni, la decisione di utilizzare per la copertina un disegno di Matisse e di Mirò per “Les Européens” invece di una fotografia dimostra che il fotografo francese non si considerava un giornalista, ma un artista vero e proprio, una visione compositiva unica, capace di afferrare i momenti significativi dell’ esistenza, un linguaggio in cui esprime “la perfezione della forma e il senso della vita”, immagini che conservano la freschezza di una documentazione affidabile e sicura e la forza di una composizione perfetta, classica e innovativa, tutto questo è il modus operandi di un artista dotato di grande sensibilità.
Nel 1938 in Germania furono istituite le “Compagnia di Propaganda”, immagini, singole foto o interi reportage apparivano su riviste di propaganda pubblicate dalle forze armate tedesche, i “reporter visivi” potevano fare affidamento sulla Leica o sulla Contax a obiettivi intercambiabili e utilizzare pellicole a colori ampliando il raggio d’ azione dei reportage di guerra. Uno dei più celebri fotografi di guerra è senza dubbio Robert Capa, artefice di uno scatto celebre della guerra civile spagnola “Una foto, una storia”, di un miliziano colpito a morte da una mitragliatrice dell’ esercito di Franco.
Dalle immagini di guerra a quelle postbelliche, quelle della “Trummerfotografie”, (fotografie delle macerie), un approccio da un lato estetico-formale e dall’ altro accusatorio, alcuni fotografi si interessarono al “fascino estetico di un paesaggio in rovina” di ispirazione surrealista come Herbert List, Hermann Claasen ebbe, invece, un approccio cristiano e Richard Peter una posizione marxista, la distruzione, la morte e la sofferenza furono gli elementi caratterizzanti di queste immagini. Durante la guerra il 70% delle macchine fotografiche furono distrutte, la berlinese Eva Kemlein fu tra i pochi che riuscì a salvare la sua Leica divenendo nel tempo la più ricercata cronista visiva del suo tempo.
Proseguendo per il percorso espositivo si arriva al fondatore del fotogiornalismo contemporaneo, Alfred Eisenstaedt, fotografo della rivista “Life” e artefice dello scatto che ha come protagonista un bacio immortalato il giorno della dichiarazione della vittoria della Seconda guerra mondiale, 14 agosto 1945, a Time Square a New York, nell’ euforia generale un marinaio bacia un’ infermiera, è l’ immagine icona della storia, riprodotta in mille modi ed è diventata recentemente anche una statua.
Passano gli anni e una nuova sensibilità emerge, in Francia si impone la “fotografia umanista”, fotografi che vagano per le strade di Parigi alla ricerca di soggetti da immortalare, dalle immagini surrealiste di Cartier-Bresson a quelle gioiose di Robert Doisneau, accomunati dalle idee di sinistra e dalla convinzione che la fotografia potesse cambiare la società, con William Klein e Robert Frank si raggiunge un linguaggio visivo più radicale.
Dopo un periodo di vuoto artistico torna in auge la “fotografia soggettiva” e a questo genere è dedicata una sezione della mostra, nata col fotografo autodidatta Otto Steinert è caratterizzata da composizioni astratte, contrasti netti, sorprendenti vedute dall’ alto e luce naturale, fra i maggiori esponenti vi è Walter Vogel.
Dopo la Seconda guerra mondiale il reportage fotografico conobbe una seconda “Età dell’Oro” con un forte impatto giornalistico ed economico sui periodici come “Life”, “Look”, “Picture Post”, “Paris Match”in Francia e “Stern” in Germania, la Magnum Photos attraversò il suo periodo di massimo splendore che terminò con la chiusura di “Life” nel 1972, il fotogiornalismo cambiò stile, divenne più personale e trovò nuovi spazi di espressione, dalle gallerie d’arte ai musei, alle librerie. La foto icona di questo periodo è quella di Nick Ut che immortala Phan Thi Kim Phuc, una bimba di nove anni che fugge dopo il bombardamento al napalm nel suo villaggio in Vietnam da parte delle truppe sudvietnamite, la vampata di fuoco vaporizzò il suo vestito di cotone e aggredì la sua carne, in preda allo shock cominciò a correre lungo la strada fino a che non perse conoscenza.
Una mostra che non finisce mai di stupire ci porta ad osservare una serie di ritratti iconici come quello di James Dean realizzato dal fotografo Dennis Stock, una stampa vintage del 1955, oppure le immagini di Alberto Korda, fotografo personale di Fidel Castro che immortala Ernesto “Che” Guevara in due scatti, il primo in verticale e il secondo in orizzontale, l’ istantanea pubblicata su un giornale cubano rimase semisconosciuta fino a quando nel 1967 l’ editore Giangiacomo Feltrinelli incontrò Korda che gliene regalò due copie e decise di utilizzarla come copertina del “Diario in Bolivia” diventando un successo planetario e incominciò ad essere riprodotta in ambito politico, commerciale e pubblicitario.
Ernesto “Che” Guevara- Alberto Korda
Non poteva mancare uno dei fotografi più importanti, Sebastiao Salgado con una foto che immortala la miniera d’ oro di Sierra Pelada, in Brasile, una descrizione dettagliata delle condizioni di lavoro nei posti sconosciuti alla massa, in cui lavorano solo uomini, privati della loro dignità, lontani dagli affetti familiari e senza consolazione.
Miniera d’ oro di Sierra Pelada- Sebastiao Salgado
La sezione dedicata alla “fotografia d’ autore” è incentrata su personalità che avevano un punto di vista originale e distintivo, artisti come Bruce Davidson e Renè Burri erano accomunati dall’ interesse per le tematiche sociali con uno sguardo più critico, libri come “Die Deutschen” di Burri disorientarono il pubblico contemporaneo, ciò che sconcertava era la nuova estetica fotografica che infrangeva ogni regola, ricorreva all’ effetto mosso, apprezzava la grana grossa e i dettagli ironici, faceva affidamento alla luce disponibile evitando quella artificiale e non disdegnava l’ uso frequente del quadrangolo.
In Italia, invece, uno degli esponenti di maggior rilievo nell’ ambito fotografico dagli anni Settanta in poi fu Gianni Berengo Gardin che documentò le condizioni tragiche dei malati psichiatrici all’ interno dei manicomi, realizzando con Carla Cerati un libro dal titolo “Morire di classe”, la fotografia entrava prepotentemente in strutture chiuse e faceva luce sulle condizioni degli internati, uomini distrutti e annientati per le conseguenze dei loro ricoveri.
Istituto psichiatrico di Colorno-Gianni Berengo Gardin
Dalle fotografie in bianco e nero a quelle a colori, interessante è la sezione dedicata alla “New color photography” incentrata sul potenziale artistico del colore, per il suo grado di realismo e per le polemiche che innescò rispetto alla fotografia tradizionale in bianco e nero. Personaggi come William Eggleston, Stephen Shore e Fred Herzog diedero un forte impulso alla fotografia a colori esplorando scenari immediati, spontanei e banali della vita quotidiana.
Per via del suo linguaggio visivo la Leica lanciata nel 1925 era lontana da una certa “fotografia di moda”, dinamismo contro staticità, macchina alla mano contro cavalletto, luce naturale contro quella artificiale, spontaneità contro composizione, strada contro studio fotografico, solo successivamente con gli art director e i fotografi di moda la Leica entrò in questo settore uscendo dagli asettici studi di posa e trasformando l’ ambiente naturale in un set fotografico.
Una Leica che si diffonde in tutto il mondo raggiunge luoghi come il Giappone, a questa nazione e ai suoi fotografi è dedicata una parte del percorso espositivo, artisti di caratura internazionale come Ihei Kimura, Yonosuke Natori e Hiroshi Hamaya hanno utilizzato la Leica per i loro lavori, ancora oggi il marchio continua a godere di un notevole successo nei paesi orientali nonostante il dominio mondiale dell’ industria fotografica giapponese. Provocatore e antiaccademico è il fotografo Nobuyoshi Araki che realizzò negli anni Ottanta una serie di reportage sull’ industria del sesso giapponese, donne nude o seminude in pose plastiche o immortalate nella pratica del bondage.
” Love by Leica”- Nobuyoshi Araki
Le ultime sezioni della mostra sono dedicate alla “fotografia d’ autore” degli anni Settanta e Ottanta e agli artisti italiani, mentre alcuni fotogiornalisti passarono alla reflex e alla possibilità di sfruttare lunghezze focali maggiori, la Leica negli anni Settanta divenne un punto di riferimento per la generazione di autori internazionali, la ridotta lunghezza focale e l’ enorme profondità di campo permisero anche di mettere a fuoco in fretta o di preimpostare l’ apertura mettendo a fuoco prima, per poi scattare d’ istinto. Il mirino era sempre luminoso e a differenza della reflex mostrava anche ciò che succedeva al di fuori della cornice luminosa dell’ obiettivo montato, un aspetto importante per catturare il “momento decisivo”, non a caso le fotografie della Leica sono pensate e composte dai margini della scena e non dal centro.
“Nana, Place Blanche”- Chriter Stromholm
Negli anni Ottanta le fotografie entrano nelle collezioni dei musei, nelle gallerie d’arte e nelle banche di immagini, i giovani fotografi continuarono ad essere fedeli al reportage ma non viaggiano più su commissione, si dedicano a progetti cercando di elaborare un proprio stile, le tematiche sociali sono caratterizzate da un personale punto di vista narrativo, alcuni artisti esplorano la realtà circostante creando una sorta di diario visivo, chiamato “visualismo”, altri, invece, focalizzano l’ attenzione sulle immagini e in che modo servono a noi e come influenzano la nostra coscienza.
–Lorenzo Castore.