Nonostante siamo nell’era di Spotify, che compie proprio in questi giorni dieci anni, la pirateria musicale è ancora molto diffusa, questo secondo un rapporto della International Federation of the Phonographic Industry, secondo cui il fenomeno riguarda il 38% degli utenti.
La forma più comune di violazione del copyright è il ‘stream-ripping’ (32%), cioè l’utilizzo di semplici software online per registrare l’audio di video come quelli di YouTube. Al secondo posto c’è il ‘vecchio’ peer to peer, quello che fece la fortuna di Napster, usato dal 23% di chi usufruisce di materiale musicale pirata, mentre al terzo c’è l’acquisizione di file trovati attraverso i motori di ricerca. La motivazione principale per l’uso illegale è poter ascoltare le canzoni offline senza pagare i servizi premium.
Secondo il rapporto l’86% degli utilizzatori di musica sceglie i servizi di streaming audio o video (il 53% in Italia), ma una percentuale identica indica anche la ‘vecchia’ radio tra i dispositivi utilizzati (in Italia il 90%). Ogni settimana in media un utilizzatore ascolta 17,8 ore di musica.
Fonte: Ansa