Il 16 giugno del 1988 ci lasciava Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza. Nato a San Benedetto del Tronto nel 1956, fu autore di fumetti più che eclettico esplosivo, per stile, temi, abilità e ispirazione, e segnò in maniera indelebile il fumetto italiano.
Paz, come spesso si firmava esordisce ufficialmente nell’aprile 1977 sulla rivista Alter Alter, con il suo “Penthotal”. La prima storia del personaggio, come scrive Luca Raffaelli, lasciò i lettori sconcertati. Attraverso Penthotal nel fumetto entrava per la prima volta la realtà: “il romanzo a fumetti, il giornalismo grafico, le autobiografie erano di là da venire. E invece con Pazienza ecco Bologna, ecco il movimento studentesco, ecco un letto vero in cui si dorme e ci si sveglia. A tutta pagina. Con ogni stile possibile. Con ogni tratto possibile.”
Si, perché la primissima cosa che colpisce aprendo un fumetto di Andrea Pazienza, è la quantità di stili che convive, senza prendersi a cazzotti, su un’unica tavola. Le chine sembrano costantemente esplodere, riempiendo ogni angolo, ogni anfratto della tavola, cambiando in modo continuo, proteiforme, imprevedibile. Lui, Pazienza, lo sapeva bene. Ne era del tutto consapevole: “disegno da quando avevo diciotto mesi – scrive in una breve presentazione di sé stesso –, so disegnare qualsiasi cosa in qualunque modo”. Sarebbe un imperdonabile eccesso di immodestia, se non fosse completamente, assolutamente vero: dalla caricatura al realistico; dall’ironico al grottesco; dall’epico all’erotico al tragico alla satira. Nessun tasto emotivo e nessun livello comunicativo gli erano estranei.
Memorabili ad esempio, le tavole “disneyane” di “Perché Pippo sembra uno sballato?”, in cui i personaggi del franchise per l’infanzia più noto del mondo vengono distorti (oppure sarebbe meglio dire rivelati?) graficamente e caratterialmente dalla la lente implacabile dell’ underground pazientino. Aveva forse fatto propria la lezione di Fritz il gatto, del grande Robert Crumb, ma reinventandola e immergendola in un contesto tutto italiano, in un affresco immediato divertente esilarante. Eppure fra le righe già così cupo…
A partire dal 1980, su il Male, il presidente della Repubblica Sandro Pertini diventa una costante fonte di ispirazione per il fumettista. Vecchio partigiano (in gioventù lo era stato d’avvero) in un tempo fuori dal tempo, a metà tra la fine della guerra e il presente di quegli anni, Pertini era ritratto in avventure tra il comico e il satirico, sempre divertentissime. Ad affiancarlo lo stesso Paz, imbranata e sprovveduta spalla comica, accanto ad un Pertini severo, dall’autorevolezza granitica, sempre munito di pipa, coppola ed espressione caricaturalemente inamovibile.

Uno di quei ritratti piacque talmente tanto al presidente, da spingerlo a chiamare in redazione per chiederlo in regalo: era l’indimenticabile copertina de Il Male n° 34 del settembre 1979. Vincenzo Sparagna, Vincino e Giorgio Forattini lo consegnarono al presidente in occasione di un pranzo con lui. Andrea però non c’era, non certo perché non volesse. Nel racconto di Sparagna, semplicemente Pazienza “era a Bologna o a San Menaio”. Nella versione di quest’ultimo, i suoi compagni di redazione non gli dissero nulla… Non gliela perdonò mai, come scrisse Pazienza stesso.
Quelli fra il 1981 e il 1988 sono anche gli anni di Zanardi. Colato dalle chine come una sorta di fiume nero, grumo di malvagità inarrestabile, Alex Zanardi è forse uno dei personaggi più inquietanti della Storia del fumetto. È il gelo di una amoralità assoluta, il freddo di un vuoto esistenziale che pochi volti come, come quello di Zanna, riusciranno ad esprimere.
“Perché il freddo, quello vero, sa essere qui in fondo al mio cuore di sbarbo.” Così inizia “Giallo Scolastico”, la prima storia del personaggio (Frigidaire n° 5, del marzo 1981): tredici tavole organizzate in una trama fatta di personaggi dalle precise caratterizzazioni e di dialoghi serrati, da noir suburbano. La magmatica inventiva dell’autore viene per la prima volta incanalata in un intreccio complesso e coerente.
Significativa è anche la seconda frase di Giallo scolastico: “Perché la pazienza ha un limite. Pazienza no”. E in effetti sono tantissime le idee che Paz realizza in quegli undici anni di attività. Sembra davvero non avere limiti.
Sarebbe impossibile elencare tutte in questo breve spazio, tutte le storie che escono dalla sua matita. Fino alla fine. Fino a quegli “Ultimi giorni di Pompeo” (Alter Alter, da aprile 1985) che accolto tiepidamente, negli anni successivi sembrerà contenere il presagio di un triste commiato. O come l’incompiuta “Storia di Astarte”, riscoperta da Fandango nel 2010 in uno splendido formato album. E poi altri racconti dai titoli memorabili: “Piccola guida ragionata al (o del?) West”, “Alamm Echt Temmúrt”, “Scommessa”, “Un’estate”, “Il Perché delle anatre”. E ancora quel piccolo, immenso capolavoro che fu “Il segno di una resa invincibile” (Corto Maltese N° 3, dicembre 1983). Una breve devastante storia sulla solitudine e sul suicidio. Uno di quei rari momenti della sua produzione in cui l’ombra della morte e della tristezza sovrastano ogni altro colore emotivo e narrativo. Scomparsa l’ironia, sparito il sarcasmo, Pazienza qui fa a meno quasi del tutto perfino dei balloon. L’intera vicenda è pubblicata sotto forma di pagina di diario, con le frasi scritte a mano e inframmezzate da illustrazioni: la testimonianza diretta di una vicenda sconcertante nella sua misteriosa normalità. Cosa significasse per lui, per l’uomo Andrea Pazienza quella “resa invincibile”, forse non lo sapremo mai del tutto.

Nella notte del 16 giugno 1988, a 32 anni, nella sua casa di Montepulciano, dopo essersi chiuso in bagno, (come racconterà la moglie Marina Comandini) Andrea Pazienza viene ritrovato morto dopo circa venti minuti. Il corpo, come era suo volere, è sepolto nella natìa San Severo.
Le sue tavole da allora non sono invecchiate di un giorno.