Lello Savonardo: professore, sociologo e musicista. Autore di nuomerosi saggi tra cui “Sociologia della musica, la costruzione sociale del suono, dalla tribu al digitale”. I suoi interessi scientifici vanno di pari passo con la sua passione per la musica. Bit Generation é il secondo album del cantautore dopo “Savonardo”.Dopo il libro e i seminari, prende vita il singolo e disco “Bit Generation” di Lello Savonardo. Ma cos’é la bit generation?Professore presso la facoltà Sociologia alla Federico II di Napoli, Lello Savonardo ci spiega come siamo passati dalla “Beat generation” a quella che lui definisce la “Bit generation”. La beat generation nasce nel 1950. É la generazione dei ribelli, degli anticonformisti. É quella generazione che, stanca degli abusi dello spreco e delle ingustizie ha detto NO alle norme sociali. Beat é sinonimo di ribellione ma anche di ritmo, in particolare quello del jazz, genere in voga durante quegli anni. La bit generation é quella generazione sempre on line, in constante contatto con il mondo intero. Fisicamente lontani e virtualmente vicini. É una generazione che scrive, che scatta foto e che ama la musica. É la generazione di oggi, la mia generazione. Siamo considerati la generazione del paradosso. Come é possibile essere cosi silenziosi e cosi rumorosi allo stesso momento? Per chi ci osserva dall’esterno siamo sempre in disparte, “con la testa nel telefono,” e per i fatti nostri. Noi invece siamo in un continuo dialogo con il mondo. Dal tuo salotto di Napoli puoi parlare con un perfetto sconosciuto in Giappone del tuo gruppo preferito. Qualcuno in questo momento, in Francia, sta cliccando mi piace alla tua ultima foto su Instagram. La rete é la nostra dimora, il mezzo che ci permette di esprimerci e che ci fa sentire piu vicini.
Prendi un prof. Universitario che, ha analizzato la nostra generazione e l’ha definita bit generation, mescola con
¼ amore per la musica
¼ amore per il sociale
¼ passione e dedizione
e…. tanta bravura.Sara cosi che, Lello Savonardo, ha dato vita al suo secondo disco, Bit generation. Tredici brani che rappresentano in pieno la nostra generazione, un dipinto in musica di una societa che vive in rete.
[…] viene da lontano vive sull’arcobaleno
(tra l occidente e loriente)
senza alcun megafono
se ne sente forte il suono
(é un onda disarmante)
al di sopra di ogni regola e religione
(piccoli frammenti di celebrità)
é la voce di una nuova generazione
(selfie in cerca di un identità) […]
Adesso passiamo la parola al “prof”, chi meglio di lui puo raccontarci un po di se.
Di solito c’é prima il libro poi il film e nella maggior parte dei casi, vengono fatti da due persone diverse. In questo caso prima il libro poi il disco. Mi chiedevo da “padre” di entrambi:
Com’é stato il passaggio? Quale dei due pensi rappresenti di piú la tua personalità?
Il disco Bit Generation è un progetto culturale e cross-mediale che apre un ponte tra generazioni e che comprende diversi ambiti di approfondimento. Innanzitutto, il libro “Bit Generation. Culture giovanili, creatività e social media” (Franco Angeli, 2013) che contiene i risultati di una ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Università di Napoli Federico II sul rapporto tra universo giovanile e tecnologie digitali, con riflessioni teoriche e affondi tematici. I processi creativi della Bit Generation sono stati oggetto di seminari con Lorenzo Jovanotti, Roy Paci ed altri artisti che con me, all’Università di Napoli, si sono confrontati con gli studenti. I linguaggi giovanili sono, inoltre, al centro anche delle trasmissioni del programma dall’omonimo titolo di Radio Lab F2 dell’Ateneo Federico II, di cui sono coordinatore artistico. Il concept album Bit Generation rappresenta un’opera collettiva, realizzata con altri artisti come Edoardo Bennato, che firma il testo de “L’Equilibrista” e suona l’armonica in due brani, ma anche con Derrick de Kerckhove, guru della comunicazione, che interviene recitando dei versi nel brano “Always on”. Un disco di canzoni o di “canzonette”, come direbbe Edoardo, che si esprime attraverso le emozioni, cercando anche di far riflettere, oltre che divertire. Ogni ambito ha una sua specificità, ma tutti sono parte di un progetto culturale work in progress. Ad esempio, in un’ottica cross-mediale, il secondo videoclip del brano “Il Disegno di Manara”, di prossima uscita, per la regia di Felice Iovino (della Rai), prevede l’utilizzo di alcuni dei più suggestivi disegni originali delle donne di Milo Manara e la partecipazione del bluesman Gennaro Porcelli (feat. nel brano). In un progetto musicale che va dal libro al fumetto, il brano “Il Disegno di Manara“ racconta l’incontro con una donna ideale, seducente e surreale. Come nei disegni di Milo Manara, la canzone esprime, attraverso un racconto per immagini, un’interazione sensuale e travolgente, tra seduzione e finzione, tra realtà e immaginazione. Sia il lavoro scientifico che musicale rappresentano aspetti della mia personalità o delle mie molteplici identità, ma non vi è dubbio che con la musica mi denudo, esprimo me stesso, le mie intime emozioni e sensazioni, senza mediazioni.
Quale artista/i inspira il tuo genere musicale?
Suono il pianoforte da quando avevo 4 anni, a 13 ho iniziato ad ascoltare i cantautori italiani, come Edoardo Bennato, che è sempre stato per me un punto di riferimento, ed il rock internazionale degli anni settanta, ma anche formazioni come i Police, gli U2, i Red Hot, o artisti come David Bowie, Beck, Prince o Sting. Non ho mai smesso di ascoltare il jazz, il blues e poi le nuove tendenze, dalla new wave alle posse, dal rock anni Ottanta al rap dei poeti urbani della Bit Generation. La mia musica si nutre di questo background culturale e della contaminazione tra i diversi generi musicali. Poi ogni ospite che ha partecipato alla realizzazione del disco ha portato il suo specifico contributo rendendo l’album un’opera collettiva e condivisa. Non mancano citazioni esplicite di Gaber, Battisti o dei Police. Difficile parlare di un solo genere, ma sicuramente di ibridazioni sonore e culturali di amibiti musicali diversi.
Cosa ha inspirato il videoclip di “bit generation”?
Il videoclip del singolo Bit Generation, per la regia di Luigi Marmo, è una narrazione per immagini, oltre che sonora e verabale, delle nuove generazioni, dei nativi digitali e dei loro linguaggi, ed è liberamente ispirato al video “Canzone” di Lucio Dalla di qualche anno fa, in cui compaiono piccoli monitor nelle mani degli attori del video. Nel mio videoclip i monitor sono stati sostituiti dai tablet e dai cellulari nelle mani dei giovani protagonisti del brano. Le immagini sono state girate, tra le diverse location della città di Napoli (come per il video di Dalla), anche nella metropolitana dell’arte, con gli studenti del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli, in collaborazione con l’Osservatorio Giovani dello stesso Ateneo e con la partecipazione dell’Assessore ai Giovani, Creatività e Innovazione del Comune di Napoli, Alessandra Clemente. La versione dub di Bit Generation remixata dal dj Danilo Vigorito, che apre il disco, mi piaceva molto e ho deciso di utilizzarla come primo singolo e per il videoclip, ma non intendevo sacrificare la versione originale reggae che secondo me ha una sua forza comunicativa autonoma. Quindi ho deciso di collocare quest’ultima in chiusura dell’album, prima della gosth track, e di tenerle entrambe nel disco. Sono due tracce che testimoniano due mondi sonori diversi, anche se riconducibili ad una stessa matrice, che appartengono alla cultura di questo album.
Qual’é , secondo te, il pezzo di “bit generation” che rappresenta di piú la generazione di oggi?
Il singolo Bit Generation, come altri brani del disco, tra cui “Always on” e “Spread Emozionale”, racconta il disorientamento, l’incertezza dei giovani. I versi raccontano le nuove generazioni che comunicano, si esprimono e danno vita a linguaggi creativi, attraverso le tecnologie digitali. Nuovi “Poeti urbani”, “selfie in cerca di un’identità”, giovani sempre connessi e socialmente impegnati, che “scendono in piazza se la gente muore”, con una loro “visione”, “al di sopra di ogni regola e religione”. “Always On”, che si apre con versi pronunciati da Derrick de Kerckhove, guru della comunicazione ed erede intellettuale di McLuhan, esprime la condizione dell’uomo contemporaneo: “iperattivo”, “interattivo”, “sempre connesso”. Ovunque si trovino, i giovani sono potenzialmente in contatto con spazi e luoghi “altri”. Uno smartphone, un qualsiasi altro dispositivo mobile, “un anello al naso virtuale” diviene “microfono delle parole” e dei pensieri degli altri, che “scorrono” sottopelle e nelle nostre vene.Ogni canzone del disco assume un significato rilevante per l’intero album: “L’Equilibrista”, il cui testo è firmato da Edoardo Bennato, che suona anche l’armonica nel brano, racconta la condizione dell’uomo occidentale, ma anche dell’artista, “sospeso sul filo” dell’esistenza, nel grande circo della vita, dove la sfera pubblica si sovrappone sempre di più alla dimensione privata, tra l’incertezza e l’apparire, tra dubbi e mutamenti, con un’unica consapevolezza: “lo show deve andare avanti”, con le sue regole e il suo pubblico, “tra rulli di tamburi e luci abbaglianti”. I Nuovi Padroni “hanno nuove ragioni, contro tutte le rivoluzioni”. “Padroni” che hanno assunto nuove sembianze e che con “sguardi invitanti e parole spesso concilianti”, attraverso il potere delle multinazionali ma anche della Rete e delle nuove forme di condizionamento sociale e politico, controllano le nostre vite e il nostro destino. Il brano vede la partecipazione del rapper e dj di Radio Deejay, Gianluca Tripla Vitiello. “Spread Emozionale”, brano in cui Edoardo Bennato suona l’armonica, descrive il divario generazionale ed emozionale e racconta le nuove generazioni di “belli e dannati…disorientati, disincantati e fuori dai giochi”. Una “meglio gioventù” che non ha le prospettive del “boom” e dello sviluppo economico, ma vive nell’incertezza, in una costante crisi di punti di riferimenti. “Il Sole della Tribù”, con la produzione artistica e la partecipazione di Maurizio Capone e il suo sound ecologico, come altri brani del disco, si sofferma sui temi della comunicazione e pone al centro dell’attenzione la televisione, il “Sole” delle tribù contemporanee che ha generato modelli culturali e valoriali caratterizzanti le culture di massa, determinando nuove forme di persuasione collettiva. Queste sono solo alcune considerazioni in merito, tuttavia, tutti i brani dell’album hanno per me un significato e un’importanza rilevante, anche nel raccontare l’universo giovanile.
Come pensi sia cambiato il piano musicale dal tuo primo disco “Savonardo”?
Io sono un cantautore sui generis. Insegno “Teorie e Tecniche della comunicazione” e “Comunicazione e Culture giovanili” presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e sono autore di numerosi saggi sull’universo giovanile e i linguaggi musicali, tra cui Sociologia della Musica. La costruzione sociale del suono, dalle tribù al digitale (Utet, 2010) che, nel 2014, è stato pubblicato in lingua francese in tutto il mondo francofono da Academia/L’Harmattan. I miei interessi scientifici sposano da sempre la mia passione per la musica. In qualità di cantautore, ho all’attivo numerosi concerti, collaborazioni con artisti e musicisti di rilievo nazionale, la pubblicazione del mio primo disco dal titolo “Savonardo” e riconoscimenti prestigiosi, tra cui il Premio Lunezia che, nella stessa edizione, ha visto la partecipazione anche di Fabrizio De Andrè, premiato in quella occasione come il migliore poeta/cantautore italiano. Suonare sullo stesso palco, prima di lui, è stata un’emozione immensa per me, particolarmente in quella fase della mia vita professionale in cui i miei interessi erano concentrati sulla dimensione artistica. Il mio ritorno alla musica “attiva”, dopo diversi anni, è una sfida ma anche un progetto culturale, che si esprime attraverso suoni, parole, ritmi ed emozioni. Entrare in studio è stato come ritornare a casa. Ma è molto più difficile scrivere canzoni, esprimere se stessi, denudarsi, esporsi attraverso le emozioni di una canzone, che scrivere saggi di sociologia, in cui devi necessariamente tendere all’oggettività. Non mi sono mai sentito un “professore”, ma una persona curiosa, che si pone interrogativi e che non possiede verità da trasmettere ma dubbi da condividere. Quello che comunico ai miei studenti è la curiosità di scoprire, indagare, comprendere i fenomeni sociali, attraversare i territori della conoscenza, osservando la realtà da diverse angolazioni e punti di vista. Oltre le apparenze. La musica ti permette di arrivare al centro delle emozioni, attraverso una profonda scoperta del sé e degli altri. Le mie due anime e passioni convivono in questa ricerca costante. Non vi è un confine tra le due dimensioni, dialogano costantemente e si influenzano reciprocamente. Rappresentano due facce della stessa medaglia e il mio secondo disco le contiene entrambe.
E’ cambiata in qualche modo la tua vita universitaria dopo l’uscita dell’album? Se si, come?
La musica mi ha sempre accompagnato, nei miei percorsi emozionali e professionali. Fino a qualche tempo fa, avrei voluto dedicarmi solo e unicamente alla professione di musicista e continuare ad approfondire i miei interessi scientifici per hobby. In realtà, poi la mia attività accademica ha prevalso ma sono riuscito, come già accennato, a combinare insieme le mie passioni e questo mi ha permesso di non abbandonare mai la musica, che è diventata anche oggetto dei miei studi sociologici e che ho continuato a coltivare anche in qualità di cantautore. Sicuramente il mercato discografico è sempre più complesso e negli ultimi anni è mutato radicalmente. La musica di qualità ha sempre meno spazi e la discografia insegue, sempre di più, i “talent”, invece di svolgere il ruolo di “ricerca” dei talenti e degli artisti che possano lasciare il segno nella cultura musicale italiana. Tuttavia in questo settore contano le emozioni, se riesci ad emozionare con le tue canzoni e a raggiungere anche una piccola fetta di pubblico, che diviene il “tuo” pubblico, allora hai raggiunto un primo risultato rilevante. Nel mio caso, mi piacerebbe emozionare il mio potenziale pubblico, riuscendo anche a farlo riflettere sui temi che propongo nelle mie canzoni, anche se le emozioni sono sempre al primo posto.
Album preferito degli ultimi 20 anni? E perché?
Non c’è un solo album ma tanti. I dischi con cui sono cresciuto, le canzoni di artisti come gli stessi Bennato o De Andrè, passando dai Led Zeppelin a Sting o i Police, attraversando le sonorità degli U2, Beck e dello straordinario David Bowie, che con i suoi linguaggi musicali e la sua capacità di trasformarli, innovando e creando sempre nuovi ponti tra presente e futuro, ha caratterizzato i paesaggi sonoro della tarda modernità. Il Duca Bianco, mio riferimento artistico da sempre, ora è definitivamente diventato immortale.
Per info: www.bitgeneration.eu
Grazie mille Prof!!!!
Grazie a te