Nel novero dei figli illustri di Napoli, cioè di coloro che hanno dato lustro alla città o che comunque hanno fatto di essa il perno del loro genio, della loro arte e della loro creatività, non sono da contemplare solo quanti vi sono nati ma anche, e forse soprattutto, quanti possono essere definiti, per così dire, figli adottivi. Ebbene, tra tutti quelli che, pur non avendone avuto i natali, hanno espresso una particolare connessione con il capoluogo campano è sicuramente da menzionare il grande regista, nonché attore, Vittorio De Sica, il quale, proprio a tal proposito, non a caso, disse che “nu cafone ‘e fora può amare Napoli più di un napoletano”.
De Sica era nato, da genitori di origine campana, il 7 luglio 1901, per l’appunto, a Sora, cittadina oggi situata in provincia di Frosinone nel Lazio, ma prima del 1927 appartenente alla cosiddetta Terra di Lavoro, ricompresa nella regione Campania. Ciononostante, fu proprio nella città partenopea che trascorse alcuni anni della sua giovinezza e qui, prima di trasferirsi a Roma – dove ha vissuto e lavorato -, iniziò a maturare la sua formazione e la sua ispirazione.
“La mia attività da regista la svolgerei tutta a Napoli. Napoli è la città più fotogenica e più umana di tutto il mondo”. Un amore, dunque, davvero profondo il suo, un amore sentito al punto tale da dichiarare persino l’intento di voler comprare una casa a Posillipo, in modo da potervisi trasferire definitivamente.
Passando, invece, a quella che è stata la produzione artistica di questo Maestro del grande schermo, vincitore oltreoceano di ben 4 premi Oscar come “miglior film straniero”, è impossibile non limitarsi ad esprimere semplicemente note di ammirazione e stima. Difatti, tutti, in un modo o nell’altro, ne conosciamo l’enorme valore registico, oltre che attoriale, e sarebbe il caso di riuscire a non far disperdere, dalle generazioni a venire, l’immenso bagaglio culturale da lui offertoci. Pellicole come, per citarne alcune, “Ladri di biciclette”, “I bambini ci guardano”, “Sciuscià”, “La ciociara”, “Miracolo a Milano”, “Ieri, oggi, domani”, “Il giardino dei Finzi Contini”, “Umberto D.”, da lui dirette, sono dei veri e propri capolavori della cinematografia italiana e mondiale. Egli è stato praticamente il fondatore del Neorealismo nel cinema, sempre dalla parte degli ultimi e degli umili negli scenari aspri del secondo dopoguerra, ma anche di quella che è stata definita “Commedia all’italiana”.
In aggiunta, naturalmente, come si diceva, nella sua produzione non poteva mancare Napoli, la quale permea diversi suoi lavori in maniera diretta e non. Oltre a “Matrimonio all’italiana”– con un’eccellente Sophia Loren e un altrettanto bravo Marcello Mastroianni – trasposizione cinematografica di “Filumena Marturano” di Eduardo De Filippo, è però da citare, innanzitutto, “L’oro di Napoli”. Tratto da alcuni avvenimenti raccontati da Giuseppe Marotta nell’omonima opera,
questo film ad episodi è una sorta di saga tutta napoletana in cui il regista mette in scena storie che si snodano, in maniera sublime, nelle strade della città. In esso sono presenti immagini che sono diventate veri e propri pezzi di storia, arricchiti dai più importanti attori di ogni tempo: un sempre magistrale Totò nell’episodio del “Pazzariello”; un Eduardo De Filippo nella veste del violinista Don Ersilio che discorre di reati e leggi e opera il distunguo tra la volgare “pernacchia” e il più altolocato “pernacchio”; e poi, ancora, una bellissima Sophia Loren nel ruolo della moglie del pizzaiolo, alla quale sparisce lo smeraldo donatole dal marito.
Tuttavia, al di là del cinema, la vena, se così possiamo definirla, partenopea di De Sica è venuta fuori, e forse non tutti lo sanno, anche attraverso la sua passione, con tanto di sue meravigliose interpretazioni, per la poesia, in primis quella di Salvatore Di Giacomo, e la canzone classica di Napoli, come quella di Roberto Murolo.
Insomma, il 13 novembre del 1974, nell’anno del suo ultimo film, “Il Viaggio”, veniva a mancare un uomo che, nella sua ampia e variegata espressione artistica, ha sempre portato con sé un pezzo della città, e un pezzo del nostro cuore non potrà che battere eternamente per lui.