Moby Dick alla prova
di Orson Welles
adattato – prevalentemente in versi sciolti – dal romanzo di Herman Melville
traduzione Cristina Viti
uno spettacolo di Elio De Capitani
costumi Ferdinando Bruni
musiche dal vivo Mario Arcari, direzione del coro Francesca Breschi
maschere Marco Bonadei, luci Michele Ceglia, suono Gianfranco Turco
con Elio De Capitani
e Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa, Mario Arcari
una coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Lo spettacolo è dedicato alla memoria di Gigi Dall’Aglio
Moby Dick alla prova, scritto (oltre che, a suo tempo, diretto e interpretato) da Orson Welles, è lo spettacolo a cui Elio De Capitani ha lavorato nel corso dell’inverno del 2020/21 e che è giunto al debutto l’11 gennaio ’22 all’Elfo Puccini di Milano, ottenendo un notevolissimo successo.
«Il testo di Welles, inedito in Italia, è un esperimento molteplice, sottolinea il regista. Blank verse shakespeariano, una sintesi estrema del romanzo, personaggi bellissimi, restituiti in modo magistrale e parti cantate. Noi abbiamo realizzato questo spettacolo ‘totale’, con in più la gioia di una sfida finale impossibile: l’apparizione del capodoglio. E con un semplice trucco teatrale siamo riusciti a crearla in scena».
La produzione di questo spettacolo di dimensioni corali vede associati il Teatro dell’Elfo e il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.
In scena accanto a De Capitani (che interpreta Achab, padre Mapple, Lear e l’impresario teatrale) troviamo Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa. Il cast salda le eccellenze artistiche di tre generazioni di interpreti. La musica dal vivo di Mario Arcari e i canti diretti da Francesca Breschi (vibranti rielaborazioni degli sea shanties) riempiono intensamente la scena generando emozioni profonde, in uno spazio dominato da un fondale enorme, eppure leggero, cangiante e mutevole, capace di evocare l’immensità del mare e la presenza incombente del capodoglio.
Orson Welles portò al debutto il suo testo il 16 giugno 1955, al Duke of York’s Theatre di Londra. Lo mise in scena in un palco praticamente vuoto, scegliendo di non dare al pubblico né mare, né balene, né navi. Solo una compagnia di attori e se stesso in quattro ruoli, Achab compreso. E vinse la sfida di portare in teatro l’oceanico romanzo di Melville gettando un ponte tra la tragedia di Re Lear e Moby-Dick: l’ostinazione del re – che la vita, atroce maestra, infine redimerà – si rispecchia in quella irredimibile, fino all’ultimo istante, dell’oscuro e tormentato capitano del Pequod.
Splendidamente tradotto per l’Elfo dalla poetessa Cristina Viti, il copione di Welles restituisce con forza d’immagini la prosa del romanzo.
Dalle note di regia
Achab, come Kurtz in Cuore di tenebra, per devastare la natura, soggioga i suoi simili e ne fa strumento del suo odio, con estrema facilità: compito agevole, dopotutto… La mia unica ruota dentata sa mettere in moto i loro diversi meccanismi… ed eccoli tutti in moto…
Vitalismo rapace, prepotentemente – ma non esclusivamente – occidentale, che rappresenta quella parte d’umanità che ci porta al disastro, al gorgo mortale che inghiotte la Pequod. Siamo alla sesta estinzione di massa, siamo al riscaldamento globale, siamo sull’orlo del baratro e continuiamo a correre. Generando odiatori meno mitici ma altrettanto ferali di Achab.
Diciamolo: Moby-Dick parla di noi, oggi. Ne parla come solo l’arte sa fare. Cogliendo il respiro dei secoli – tra passato e futuro – nel respiro di ogni istante della nostra vita.
Elio De Capitani
Dalla rassegna stampa
Due ore e mezzo che il pubblico vive con una partecipazione naturale ed entusiasta: così è questa primissima volta in Italia di Moby Dick alla prova, il capolavoro di Melville rielaborato da Orson Welles a metà anni Cinquanta in un altro capolavoro, ugualmente epico e dal respiro shakespeariano. (…) il resto lo fa lo spettacolo, fatto di ombre e non di buio, di canti e non di urla (belle le musiche dal vivo di Mario Arcari), di senso dell’abisso più che di morte e una regia nitida, semplice nei costumi (di Ferdinando Bruni), sorprendente come nella scena finale della balena che non c’è ma che pure si vede, corale nella partecipazione dei bravi attori (…) e ovviamente De Capitani, sinistro e malinconico dominatore, cioè Achab.
Anna Bandettini, la Repubblica
L’ottima, motivata «ciurma» di attori del veliero dell’Elfo porta in scena per la prima volta in Italia questo gioiello, con la regia efficace, sobria e intelligente di Elio De Capitani, un Achab introverso e perduto nella sua ossessione, e, come tutti, impegnato in più ruoli. Solo alte scale a castello, grigi costumi e maschere per scendere magicamente e magicamente narrare lo sprofondo dell’animo umano in uno spettacolo evocativo anche di una natura ottusamente violentata che tutto e tutti inghiottirà. Da vedere.
Magda Poli, Corriere della sera
Per Orson Welles-De Capitani, Melville ha scritto un capolavoro su Achab, il capitano invasato. (..) Portando agli estremi il testo incuboso di Orson Welles, il regista attore crea quindi, dal capolavoro del mito (mito a cui, come Welles, è insensibile), una cupa e tremenda tragedia di tono shakespeariano. (…) È una lettura di Moby Dick non all’ombra dell’autore di famosi romanzi di mare, ma quella, non certo meno importante, dello Shakespeare più tragico, Macbeth, o del Marlowe del Dottor Faustus.
Roberto Mussapi, Avvenire
Se Moby Dick è ormai un simbolo della lotta dell’individuo contro forze sovrumane, potenti e misteriose, è evidente quanto lo spettacolo di Elio De Capitani, regista e interprete, che ha al centro il celebre cetaceo, di sfide ne contenga diverse. La più tenace è proprio il tentativo di portare in scena un testo scritto da Orson Welles, rappresentato nel 1955, in cui una compagnia teatrale, alle prese con le prove del Re Lear di Shakespeare, decide di dar vita in palcoscenico proprio alla storia, raccontata da Melville (…).
Sicuramente la scrittura di Welles e l’azione teatrale appaiono più emotivamente coinvolgenti quando fanno coincidere, come in un’eclissi, l’immagine del caparbio cacciatore di balene e quella del vecchio re che si sente tradito dalla figlia. E certo De Capitani interpreta questa fusione di ruoli con sensibilità e vigore, e (volontà o caso) sembra far riverberare nella sua voce un timbro che ricorda l’indimenticabile Lear di Tino Carraro diretto da Strehler.
Antonio Audino, Il sole 24 ore