Teatro Bellini
Dal 7 al 12 maggio
Napoleone. La morte di Dio
di Davide Sacco
da Victor Hugo
con Lino Guanciale
e con Simona Boo, Amedeo Carlo Capitanelli
testo e regia Davide Sacco
aiuto regia Flavia Gramaccioni
scene Luigi Sacco
costumi Daniele Gelsi
organizzazione Luigi Cosimelli
produzione Ilaria Ceci
una produzione LVF – Teatro Manini di Narni
A Parigi torna un padre, un padre amato e odiato, un padre santo e dittatore. Un padre che non sai se perdonare o condannare. A Parigi torna il padre della Francia, torna Napoleone. Torna in una bara vuota, piena di tutto il dolore di Parigi.
Le contraddizioni di quella giornata si susseguono, gli incroci di destini, la solitudine di restare orfani, la banalità degli sconosciuti, come nel più privato dei funerali, l’evento più pubblico della Francia si sussegue e avanza, come quel carro vuoto dell’imperatore.
Davide Sacco, colpito dalle struggenti parole di Victor Hugo chiamato per l’occasione a scrivere una cronaca di quel grande momento della storia della Francia, comincia a ragionare sulla storia dei padri, a scrivere sotto la lente di Hugo tutti quei diversi e pur sempre uguali sentimenti che caratterizzano la coscienza improvvisa di essere orfani e l’ineluttabile verità che ciò che si è perso, con tutti i non detti, con tutte le parole mancate, con quelle vittorie e con quelle sconfitte, non tornerà più.
Lo spettacolo si costruisce partendo da zero. Un teatro spoglio, dove da lì a breve un grande funerale verrà messo in scena. Tecnici, inservienti di palco, tutte figure distaccate, lontane da quel dolore così vero e intimo che un figlio porta sul cuore. Un giovane uomo arriva troppo presto per dire addio al padre, o forse troppo tardi. Il mondo va avanti, i fari si alzano, l’estetica abbonda, ma quel povero ragazzo vorrebbe solo abbracciare per l’ultima volta il suo papà. Che sia il peggiore degli uomini o il più grande degli eroi, che sia un imperatore o l’ultimo degli schiavi, per lui è il suo papà, per lui è Dio.
Un percorso polifonico che chiede allo spettatore uno sforzo sentimentale, un atletismo del cuore per restare umani, padri e figli in egual misura, per tutto il tempo del viaggio che l’opera richiederà.
E allora un saggio diventa lo scritto dell’anima, Parigi qualsiasi periferia del mondo, e tutti noi, semplicemente, figli.
Come si rinasce, come si prosegue? Un evento così naturale – perdere il proprio padre – eppure così determinante, così incessante, come tutte quelle cose che abbiamo dato per scontato.
Lino Guanciale porta con sé tutta quella struggente malinconia, quella solitudine, quella neve dell’anima che rende gelido qualsiasi sorriso, tenero qualsiasi gesto. Il mondo intorno a lui, rappresentato da due amletici facchini, rende quest’opera quasi shakespeariana, voce e gesti costruiscono le palafitte del dolore, terra nera da sotterrarci la vita.
Il teatro diventa tutto e nulla, è una bara il tempio del dolore.
NOTE DI REGIA
Parigi, 15 dicembre 1840. Sono passati vent’anni dalla morte di Napoleone, ma solo in questa freddissima giornata d’inverno viene concesso alle sue spoglie di tornare in patria e di essere tumulate nella chiesa de Les Invalides. La Francia, per la prima volta, si confronta con la memoria di un imperatore e di un uomo che aveva segnato la storia di una nazione e di un’epoca.
Tra la folla accorsa ad assistere al funerale, anche un giovane Victor Hugo. Ne scriverà in un saggio denso e appassionato.
Mentre leggevo parole così distanti, così lontane, non ho potuto non confrontarle con l’Amleto, come un grande prequel, non ho potuto non confrontarle con la mia vita, con le persone che avevo accanto, e con quell’incredibile momento che è la morte di un padre.
Allora il libro ha cominciato a leggere me, e non seguivo più le linee del testo, ma quelle dei miei pensieri, quelle che si scontravano con le mie paure, ed è questa la forza dei grandi testi, dei grandi autori.
Attraverso le parole di Hugo e le immagini di quell’ultimo viaggio ho ricostruito la figura di Napoleone, imperatore e uomo, l’uomo che sfidò Dio, per dirla con le parole di Hugo.
Ma la mia ricerca non si è fermata qui. Mi sono chiesto: e se abbandonassi l’immagine di Napoleone imperatore, l’immagine di Napoleone Dio, e pensassi a Napoleone come un uomo, come un padre?
La trama testuale quindi si è infittita portando a confronto immagini diverse, la gloria – effimera – dei funerali reali e il dolore di un figlio che vorrebbe solo piangere il padre.
Partendo dalle parole di Hugo, ho costruito un percorso polifonico sulla morte degli eroi, delle divinità, dei padri. Lino Guanciale interpreta un figlio che ha perso il padre, forse Napoleone, forse un Dio, forse solo un uomo.
Tra la neve che scende e il freddo che avvolge il respiro, si affronta la perdita e la necessaria ricostruzione