Uno scadente film horror degli anni 80, di quelli che ci facevano paura quando eravamo ragazzini ma che oggi, a distanza di 30 anni, ci fanno sorridere. E proprio 30 anni sono passati dai quarti di finale della Uefa 1989 persi due a zero con due gol nel primo tempo (con annesso autogol). Ecco, per rendere questa triste mattinata un pò più allegra, quello che abbiamo appena descritto è un ricorso storico cui il Napoli può aggrapparsi per sperare di ribaltare la storia di una qualificazione che, senza i prodigi di Mazinga-Meret, sarebbe già decisa. Purtroppo non ci sono molti altri argomenti cui ispirarsi per sognare la remuntada.
Il ricorso ad un personaggio dei cartoon degli anni 80 non è casuale: ieri, specie nella prima mezz’ora, ci sarebbe stato da ridere se non fosse che la nostra passione per i colori azzurri ci regala spesso serate da fegato amaro e sogni infranti. Anche Mister Ancelotti sembra aver, paradossalmente, studiato troppo questa partita per non capire che il concetto di “Hjsay che sa difendere meglio di Malcuit” è ormai superato. Il difensore albanese, sempre più involuto dopo l’abbandono di Sarri, è un calciatore attualmente impresentabile, almeno a certi livelli. Aubameyang e compagni scherzano con lui più o meno come un adulto con un bambino con il Super Santos nel parco. Il suo compare dall’altro lato, Mario Rui, combina più guai di Nobita, lo sfigato amico di Doraemon. Il primo gol nasce da uno dei suoi innumerevoli errori del primo tempo, nella ripresa sbaglia tutto, cross, angoli e scelte…Ghoulam manca ai colori azzurri molto più di quanto si possa immaginare. Va anche detto che, esclusi i disperati tentativi di tenere la barca a galla del già citato Meret, Koulibaly e, soprattutto, Maksimovic, gli altri fanno a gara a superarsi per accaparrarsi la palma del peggiore in campo. Fabian Ruiz si trasforma da aquila in uccellaccio del malaugurio, regalando il secondo gol dopo aver perso l’ennesima palla in uscita; Zielinski, solito accendersi e spegnersi, come le lucine dell’albero di Natale, sembra aver lasciato l’intera serie di lampadine a Castel Volturno, Allan si batte ma è inglobato dal buco nero tanto di moda in questi giorni, Mertens non tocca un pallone che sia uno e mister “Mino” Insigne spreca l’assist di Callejon allo spirare della prima frazione trasformando un gol facile facile nell’ennesima occasione persa, sparando il pallone nell’iperuranio.
Nella ripresa l’Arsenal si calma, abbassa i ritmi e i partenopei provano e mettere il naso fuori dal loro “sgarrupatissimo” guscio: guadagna diversi angoli che Mario Rui batte sempre bassi e sul primo palo inducendo i tifosi azzurri a consumare la pagine del calendario di Frate Indovino appeso dietro la porta delle cucine, manca il gol con Zielinski che, dopo un assist di Insigne (unico lampo in ottanta minuti che definire irritanti è anche poco), in scivolata mette la palla alta, ma deve sempre ringraziare santo Meret che mortifica i tentativi dei Gunners di chiudere la contesa. Il portierone azzurro, incazzatissimo (si può dire?) e concentrato, è il più giovane della compagnia ma non disdegna rimproveri ed urla ai suoi compagni. I cambi sono tardivi: troppo tardi Milik (lasciato misteriosamente in panchina da Ancelotti il migliore marcatore azzurro in stagione!!) per il cugino di Mertens, poi Ounas (“bianca stella dell’universo dell’inutile” direbbe un ispiratissimo Piero Pelù di altri tempi) per Insigne (era ora!) e Younes Per Fabian. Ma ci vuol ben altro. Ad un certo punto il risultato sembra quasi “andare bene” a tutti, del resto meglio uno zero due che uno zero tre…..
Finisce, dunque, due a zero e il risultato finale sta certamente stretto ai padroni di casa, squadra forte e aggressiva ma molto approssimativa in difesa. Al ritorno tra sette giorni occorrerà la partita perfetta, tanta fortuna e la spinta del San Paolo che può, e deve, tornare ad essere decisivo. L’augurio di chi scrive è che in campo vada solo chi ci crede, lasciando da parte sedicenti primedonne, “scarpari” travestiti da calciatori e tutti quelli che sognano un futuro ricco e roseo altrove senza capire che, probabilmente, nei top club europei scalderebbero la panchina se non la tribuna.