Dal racconto lungo Il Duello di Joseph Conrad, di cui peraltro esiste una riduzione cinematografica di Ridley Scott, nasce l’interessantissima e coinvolgente messinscena I Duellanti, ideata e diretta, con grande accuratezza e premura, da Mario Gelardi che restituisce agli spettatori la storia bizzarra e singolare di un duello durato per anni, il leggendario duello tra due gentiluomini in divisa, Armand D’Hubert, tenente ussaro, di stanza a Strasburgo e d’estrazione sociale aristocratica e del suo rissosissimo collega Gabriel Feraud, di natali estremamente modesti e popolari, in cui si agitava uno spirito ulceroso e iracondo.
Gelardi, con palmare capacità narrativa e introspettiva, valorizza, nella sua regia, la cifra umana ed emotiva della relazione conflittuale di cui il duello è la diretta e inevitabile conseguenza, e si addentra nell’enigmatica e oscura psicologia dei personaggi, affidando il ruolo del riflessivo ed elegante D’Hubert e del manesco e ruspante Feraud, a due giovani e bravissimi attori, Carlo Di Maro e Antonio Turco.
Come in una giostra, la carriera militare dei due graduati è scandita dai reiterati appuntamenti con un duello che sembra non voler mai avere fine, un duello che, nella messinscena di Gelardi, lascia emergere una tensione misteriosa che, apparentemente generata da un motivo assai futile – il fatto che Feraud fosse offeso perché D’Hubert gli aveva comunicato un ordine durante una festa – va ben oltre il tradizionale certame dettato da un oramai incomprensibile codice d’onore, lasciando spazio a un’eccitabilità dei sentimenti e a un’ambiguità dei comportamenti di cui è difficile definire con esattezza i contorni.
Nel duello tra l’elegante D’Hubert e il livoroso Feraud – così come lo racconta in maniera puntuale e intrigante Gelardi – sembrano convergere pulsioni contrastanti, emozioni ancestrali, rivendicazioni di classe e grumi emotivi fatti di violenza e di tenerezza: il duello senza fine tra i due militari sembra, insomma, un virile artificio retorico dietro cui si cela un’impenetrabile e indecifrabile dipendenza emotiva, una questione che travalica l’onore e intercetta territori inesplorati della propria identità sociale, facendo intuire, in filigrana, perfino l’ombra di desideri inespressi e pulsioni inesprimibili, lampi di erotismo criptato e d’inevitabile e improvviso cupio dissolvi.