Simona Baldelli, con il romanzo “Il pozzo delle bambole” (Sellerio, 2023) ha vinto la 38/a edizione del Premio letterario nazionale per la donna scrittrice – Savona 2023, promosso dal Comune di Savona, con l’organizzazione del Teatro dell’Opera Giocosa Onlus – Teatro di Tradizione.
La scrittrice marchigiana, romana d’adozione, si è imposta sulle altre due autrici della terna: Michela Monferrini con “Dalla parte di Alba” (Ponte alle Grazie, 2023) e Valeria Parrella, con “La Fortuna” (Feltrinelli, 2022).
Scopriamo le sue opere.
Il pozzo delle bambole
Nina viene abbandonata in un orfanotrofio nell’immediato dopoguerra. Le suore fanno la cresta sul vitto e le elemosine, il confine fra disciplina e oppressione è molto sottile e le punizioni corporali e psicologiche sono parte integrante del sistema di educazione. Quando Nina compie sette anni, arriva Lucia, che ha la sua età e non possiede la scorza necessaria per salvarsi dall’insensata cattiveria delle monache. Nina si sente in dovere di difenderla. Insieme all’amicizia, scopre la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, mentre cresce in lei il senso di esclusione. Oltre le mura dell’istituto c’è un mondo al quale loro non hanno accesso e dove accadono fatti clamorosi – la nascita della televisione, il discorso rivoluzionario di un reverendo nero, l’assassinio di J.F. Kennedy, dighe che straripano e trascinano a valle migliaia di corpi, la morte del Papa buono. Quando a diciott’anni Nina esce dall’orfanotrofio trova davanti a sé un continente inesplorato. La sua vita sembra iniziare da capo: incontra nuove amiche, con loro partecipa a manifestazioni e scioperi e alla storica occupazione del grande tabacchificio di Lanciano, nel maggio del 1968, durata per ben quaranta giorni. Le vicende private e sentimentali delle ragazze si mescolano a quelle pubbliche, tutto attorno l’Italia cambia, pare lasciarsi indietro l’oscurità del passato, scopre i consumi e le réclame, la moda e le prime utilitarie, mentre le radio a transistor raccontano una trasformazione dei costumi a tempo di canzoni. La colonna sonora di ciò che poteva essere e non è stato.
Il pozzo delle bambole racchiude in sé molti romanzi: una storia di crescita e di formazione, sulla scoperta del mondo palmo a palmo; un’avventura di collegio, di istituto, di camerate e cucine, spazi in cui crescere e trasformarsi; un affresco storico sul dopoguerra che è anche racconto di fabbrica e lotte; e soprattutto un romanzo di donne che diventano consapevoli, commettono errori, avanzano e retrocedono in una lotta lunga e difficile che Simona Baldelli descrive con ritmo, verosimiglianza, attenzione e sensibilità.
Evelina e le fate
Vincitore del Premio Letterario John Fante 2013
La narrazione si apre con una scena memorabile, l’arrivo degli sfollati: a Evelina pare che dalla neve stiano uscendo le anime dei morti. La bambina vede due fate: la Nera, dai tratti cupi, e la Scepa, la fata allegra, colorata, con una veste a fiori, che ride sempre. Nei dintorni del casolare girano i partigiani: il loro capo, il Toscano, ottiene dal padre di Evelina, che con loro simpatizza, del cibo. Evelina e i suoi fratelli Sergio e Maria trovano il cadavere di un tedesco ammazzato dai partigiani: la Nera li fa scappare in tempo, e li spinge a nascondersi, pochi attimi prima dell’arrivo dei tedeschi. In un succedersi incalzante di colpi di scena, sulle colline attraversate dalla linea gotica alle spalle di Pesaro, in attesa dell’arrivo degli Alleati, trascorre l’ultimo anno della Seconda guerra mondiale filtrato dallo sguardo magico dell’infanzia, e travolge tutta la famiglia di Evelina, padre e madre molto malata, i fratelli, e il segreto di una bambina ebrea nascosta sotto una botola dentro la stalla. Realtà e magia si mescolano e si intrecciano, facendo rivivere il mondo contadino e quello delle fiabe, l’intrico complesso della guerra civile e di quella mondiale. Lo stile asciutto, arricchito di elementi dialettali, rende il racconto più reale: parole magiche, parole amuleti, filastrocche, che aprono la porta al sogno o alla profezia. E alla comprensione possibile di quello che accade.
La vita a rovescio
ROMA, anno 1735. Né ricca, né bella, il volto sfigurato dal vaiolo, Caterina Vizzani ha quattordici anni ed è convinta di essere nata a rovescio: ama lavorare nella falegnameria del padre, detesta il cucito e le altre occupazioni femminili, e il pensiero di sposarsi la terrorizza. Ma proprio a scuola di ricamo incontra Margherita, la figlia di un avvocato molto vicino al Papa, che la conquista leggendole le meravigliose avventure di Bradamante, la donna cavaliere dell’Orlando innamorato. Caterina non ha più dubbi: lei ama le donne, e soprattutto ama Margherita, di un amore grande e insaziabile che le fa sperimentare per la prima volta i piaceri inebrianti del sesso. Ma quando la madre di Margherita le coglie in flagrante, la vita di Caterina subisce una brusca svolta: con una denuncia per sodomia e stregoneria che le pende sulla testa, è costretta a fuggire e a nascondersi. Ah, pensa Caterina, se solo fossi un uomo. Perché se fosse un uomo sarebbe tutto diverso, potrebbe continuare a sedurre le femmine alla luce del sole e provare a ribaltare la propria vita… Ed è così che, grazie al lungimirante suggerimento di una prostituta, Caterina decide di vestire panni maschili e trasformarsi in Giovanni Bordoni. Come per magia le porte della società si spalancano e davanti a Caterina si dispiega una strada lastricata di occasioni e piacere… Sulle tracce di una storia vera, un grande romanzo d’avventura dove i temi dell’emancipazione femminile e dell’identità sessuale si fondono in un universo picaresco, emozionante e pervaso da un sottile erotismo.
Vicolo dell’Immaginario
Clelia è una ragazza di poco più di vent’anni, vive in un paesino della Bassa, in provincia di Reggio Emilia e lavora in una fabbrica di giostre. In questo modo sostiene la famiglia, una madre vedova, incattivita col mondo, che non perde occasione per incolparla di tutto, e la sorella Marisa, affetta da poliomielite. La giovane ha però una vita laterale, un punto di osservazione tutto suo dal quale si immerge nei sentimenti, nelle opportunità, nei grandi cambiamenti che avvengono alla fine degli anni ’50, e poi le prime rivendicazioni sociali degli anni ’60 col presagio di un periodo più buio e conflittuale. Un amore perduto la porterà ad abbandonare l’Italia, a voltare pagina e a inventarsi una nuova vita, diventando Amalia.
Amalia giunge a Lisbona all’inizio degli anni ’70 cercando di capire il perché di una piccola e nitida ombra nera che l’accompagna da qualche tempo. Per sopravvivere si prende cura di una signora anziana, Francisca Josefa, ammalata d’amore, che attende l’arrivo della nebbia che sale dal fiume Tago accompagnando il ritorno di Sebastiano I, il re condottiero scomparso in battaglia alla fine del XVI secolo.
Nei ritagli di tempo Amalia cuce abiti e alla sera lavora nella trattoria di Tia Marga, nel Beco do Imaginário, il vicolo dell’immaginario, che l’accoglie nella sua particolare comunità. Lì incontra Antonio, un ragazzo che porta sempre un garofano all’occhiello, e i suoi amici, studenti universitari appassionati di letteratura e di politica. Nella trattoria si consuma un’attesa legata alla leggenda delle anime del fiume che si mischiano ai viventi nelle notti in cui la bruma scende a coprire strade e case. Tornano per cenare e discutere, per affrontare rimorsi e rimpianti.
Baldelli reinventa con naturalezza e scrittura formidabili le atmosfere del realismo magico, racconta lo scontro tra la paura e la passione, tra i desideri e lo smarrimento della fine di un’epoca, e sancisce il primato della fantasia e della letteratura come materia e fondamento di ogni gesto quotidiano. Insieme, con sorprendente realismo, dipinge una città, la sua storia, la sua atmosfera, e la trasforma nella casa solida e concreta di un sogno collettivo.
Alfonsina e la strada
Nel 1924 il Giro d’Italia rischiava di non partire. Gli organizzatori non erano in grado di far fronte alle richieste economiche delle squadre e queste risposero con una diserzione in massa. Celebri campioni come Girardengo, Brunero, Bottecchia non avrebbero gareggiato; gli atleti dovevano iscriversi a titolo personale e la corsa rischiava di passare inosservata, con grave danno per gli sponsor. Occorreva qualcosa di eclatante, e si decise di accogliere la richiesta di una donna di trentatré anni che insisteva da tempo per partecipare. Si trattava di Alfonsina Strada, aveva già affrontato due Giri di Lombardia. Il tracciato della competizione attraversava la penisola per oltre 3.000 chilometri, gli iscritti furono 108, al via se ne presentarono novanta, e fra questi c’era Alfonsina. Solo in trenta completarono la gara.
Il romanzo racconta la sua storia, dai tempi duri e affamati di Fossamarcia, nei pressi di Bologna dove nacque nel 1891, fino al 13 settembre del 1959, giorno della sua morte. In mezzo ci sono due guerre mondiali, la Marcia su Roma cui prese parte uno dei suoi fratelli, e poi D’Annunzio che le regalò una stella d’oro, Mussolini che volle darle un’onorificenza da lei mai ritirata, una medaglia che la zarina Alessandra le appuntò personalmente al petto. E gli anni passati a esibirsi nei circhi d’Europa e due matrimoni, il primo a 14 anni, l’unico modo per andar via di casa perché i genitori le volevano impedire di gareggiare. Il giovane marito era Luigi Strada, di professione meccanico, uomo dalla psicologia molto fragile. Le offrì un amore sincero, lei ne mantenne per sempre il cognome.
Dalla povertà alla fama all’oblio, Alfonsina è stata una pioniera della parificazione tra sport maschile e femminile. Simona Baldelli ha trovato lo sguardo e la voce per trasformare la sua epopea in un romanzo attento alle verità della Storia e sensibile alle sfumature dei sentimenti, creativo nella struttura e libero di intrecciare i fatti concreti con l’invenzione necessaria al gesto letterario. Accade allora che nelle sue pagine Alfonsina prenda vita e ci mostri, nella scoperta di un’impresa faticosissima e anticipatrice, il ritratto di una donna che mai volle porsi dei limiti.
L’ultimo spartito di Rossini
L’ultimo spartito di Rossini non è l’ennesima biografia romanzata di Rossini, pur basandosi interamente su fatti realmente avvenuti, è il tentativo di ripercorrere e comprendere, attraverso il ricordo delle vicende, nell’avvicinarsi della morte, i motivi che ne causarono la depressione, le fobie, le allucinazioni di cui soffrì e, nell’età adulta, lo esclusero dal mondo. Liberare l’icona dai luoghi comuni, sgombrare il campo dalle piccole e grandi calunnie di cui fu oggetto. Restituire l’uomo, a scapito del musicista. Siamo a Passy, a poca distanza da Parigi, nei primi giorni del novembre 1868. Gioachino Rossini ha appena subito un’operazione e sta attendendo una seconda, con la quale il professor Auguste Nelaton spera di rimuovere il tumore. Accanto a sé ha Olympe Pellisier, la seconda moglie, famosa ex modella e cortigiana, amante, fra tanti, del pittore Horace Vernet e dello scrittore Honoré de Balzac. Rossini si è confinato da più di trent’anni in un lungo e doloroso silenzio lavorativo, raramente interrotto da serate musicali private, in compagnia di amici e artisti come List, Wagner, Ricordi, fra gli altri. Cos’era accaduto, nella vita e nell’animo del più grande compositore di tutti i tempi, venerato a livello mondiale? Perché il silenzio, l’esilio dalle scene e dal mondo? La biografia del musicista pesarese è degna del più rocambolesco romanzo d’avventura, da povero a ricchissimo, da rivoluzionario repubblicano a conservatore, ma sempre pronto allo sberleffo verso l’ordine costituito. Da dandy impenitente, frequentatore delle più raffinate alcove europee quanto dei più infimi bordelli, da cui ricavò, non ancora quarantenne, la gonorrea che l’avrebbe accompagnato per sempre, alla castità da lui chiamata “fermo celibato”. Si contano circa mille donne nel catalogo amoroso di Rossini, un elenco degno del Don Giovanni mozartiano, le ricche signore si intrufolavano a forza, nude, nel suo letto. Le ragazzine lo rincorrevano per strada per tagliargli un lembo del vestito e si contendevano le litografie dei suoi ritratti. Lord Byron era disperato perché il musicista gli aveva strappato il ruolo di personaggio più famoso del momento. Francesco Borbone lo venerava, Metternich ne cercava la compagnia. Vincenzo Monti, Nicolò Paganini, Massimo D’Azeglio ne condividevano la tavola e le scorribande. Si era destreggiato fra giacobini e papalini. Era stato subissato di fischi e portato in trionfo in tutta Europa, la sua fama era giunta fino alle Americhe. Aveva osservato, con cinismo crescente, i cambi di potere, casacche e servilismo, nell’alternarsi di francesi, austriaci, spagnoli, papi re. Era stato precursore degli ideali del Romanticismo, pur contrastandolo. Aveva assistito alla nascita del Risorgimento, anelando però che nulla mutasse. Aveva anticipato mode e costumi anche se il progresso lo terrorizzava. La sua vita era stata un vortice frenetico, ma lo spaventava la velocità. Passò un intero viaggio in treno, fra l’Italia e la Polonia, barricato nello scompartimento, ansimando e piangendo, in preda a crisi cardiache. Vide il proprio corpo, vero oggetto di culto all’epoca, disgregarsi nei rivoli di numerose, devastanti, patologie. E soffrì il rapporto, idealizzato, complicato, complesso, ossessivo, con la madre, onnipresente nei pensieri e nelle attenzioni, e l’assenza e la mancanza del sostegno paterno negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, voragine che non sarebbe mai riuscito a riempire. Un’esistenza complessa, un crescendo di emozioni, gloria e polvere, sempre alla ricerca di quella consacrazione assoluta, da parte della critica musicale del tempo, che gli sfuggì per un soffio, in vita.