Parlando di Napoli, della sua cultura, i miti che la esaltano, gli eroi che hanno fatto di questa città un cult, figurano personaggi indimenticabili destinati a lasciare un segno nella memoria dei posteri. Il 15 febbraio del 1898 nacque a Napoli il futuro simbolo dello spettacolo comico italiano, il “principe della risata”, uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiani: Antonio De Curtis, l’amatissimo Totò.Totò crebbe nel quartiere della Sanità, considerato il centro della “guapperia” napoletana. Difatti, la Sanità ha caratteristiche che la contraddistinguono dagli altri quartieri di Napoli: la conformazione topografica, le tradizioni, le feste. Ma è la lingua che fa la differenza: il dialetto della Sanità ha inflessioni del tutto particolari, per cui ci si accorge subito se un napoletano è nativo di questo quartiere. E’ qui che emerge Totò: il figlio più fortunato del quartiere. Secondo le cronache il suo debutto artistico avvenne presso il Teatro Jovinelli a Roma. In realtà, l’esordio vero e proprio si verificò molto tempo prima, davanti alla platea dei suoi familiari, dei ragazzi del vicolo. A recitare aveva cominciato per caso, imitando il suo maestro, Gustavo De Marco, un comico che inventò la figura snodata, disarticolata, unitamente a tutta una serie di macchiette che diventarono il primo repertorio di Totò. Egli sfruttava la sua naturale capacità mimica, adattando unn fisico pieghevole a tutte le deformazioni. I primi copioni sono i canovacci classici della farsa napoletana, indicazioni generali di una situazione reale, che si surrealizza e si delinea come comicità esilarante. Ma nel suo retroscena artistico c’è Pulcinella, c’è Napoli. Totò senza sforzo rappresenta di volta in volta il napoletano in tutte le sue sfaccettature: lo scugnizzo, ‘o pazzariello, il piccolo borghese, l’amante appassionato, l’eterno squattrinato che le inventa tutte pur di procurarsi qualche soldo.La casa dove nacque Totò si trova in via Santa Maria Antesaecula, al primo piano del civico 109. Vista dall’esterno, è una casa come tante. A sinistra del balconcino una lapide molto semplice ne ricorda i natali. Ma i soci dell’Associazione San Vincenzo Ferreri hanno voluto fare di più: il 25 aprile 1990 hanno fatto erigere un’edicola in cui campeggia un busto marmoreo dello scultore Antonio Januario. Totò sta là quasi come un santo, a protezione degli abitanti del vicolo.Solitario e di indole malinconica, crebbe in condizioni estremamente disagiate. Anna Clemente, sua madre, fu messa incinta da un marchese di illustre casato e di pochi soldi, che faceva l’agente teatrale e che la sposò subito dopo la morte del padre. La povera ragazza-madre si augurava per il figlio un avvenire da ufficiale di marina o da prete. Come la nonna, del resto, che non faceva che ripetere: “Com’è bello, sembra un monsignore”. Dopo la licenza elementare Totò venne messo in collegio, dove rimediò un violentissimo pugno in faccia, datogli accidentalmente dal precettore, che gli deviò il mento, facendo paradossalmente la sua fortuna artistica. Si narra che, quando Totò divenne ricco e famoso, spesso di notte passava per i vicoli della Sanità (da vico San Felice a vico Canale ai Cristallini). Metteva sotto l’uscio dei bassi banconote anche di grosso taglio. Immaginando e godendo della gioia, che quella povera gente, al mattino, al risveglio, provavano nel rinvenirle. Questa era la grandezza di Totò: era nobile e generoso. Dava cifre notevoli ad asili per anziani e per l’infanzia e ai tanti poveretti che lo attendevano sotto casa. Prima che diventasse completamente cieco, si recò alla festa di San Vincenzo in piazza Sanità insieme alla moglie Isa Barzizza. Appena si sparse la voce della sua presenza, fu un tripudio di applausi, mentre l’orchestra intonava Malafemmina. Totò si commosse visibilmente: non riuscì a mantenere il rituale distacco, come era sua abitudine fuori dal palcoscenico. Nonostante l’attore avesse affermato, pochi giorni prima della sua morte, di chiudere in fallimento e che nessuno lo avrebbe ricordato, la sua perdita fu dolorosamente sentita. Nino Manfredi dichiarò, il 15 aprile 1967: “E’ morta l’ultima delle grandi maschere della commedia dell’arte”.