Storielle dispari è l’album d’esordio di Filippo Villa, veronese di nascita, che ha deciso di fare “il salto” da autore a cantautore. Esperimento che, devo dire, gli è riuscito veramente bene: Filippo sembra nato per cantare e per esprimere attraverso i suoi testi emozioni e osservazioni sulla società e sulla vita di tutti i giorni. Ascoltando i suoi brani mi torna alla mente una certa musicalità degregoriana, a tratti anche deandreana. Riferimenti per chiunque si accosti alla scrittura di un certo livello italiana.
Scrive poesie e canzoni dall’età di quindici anni, Filippo, ha partecipato a tanti festival e premi, contest, in particolare ha partecipato alla rassegna “Direzione ostinata e contraria” ed è stato finalista del Premio De Andrè che si è tenuto al Parco Auditorium della musica di Roma dove si sono esibiti i grandi della musica italiana e non.
Queste undici storielle (dispari appunto) vedono la collaborazione di diversi artisti: Veronica Marchi (produzione artistica, mix, mastering, pianoforte, chitarra acustica), Andrea Villa (chitarre), Nelide Bandello (batteria e percussioni), Giulio Corini (contrabbasso), Maddalena Fasoli (viola), Marco Pasetto (clarinetto e ocarina), Luca Degani (bandoneon), Elena Bertuzzi (voce) e Fabio Lonardoni (mixing, mastering, banjo).
Ho fatto qualche domanda a Filippo, per conoscerlo meglio:
Ciao Filippo sei un grande autore, un poeta: quando e perché hai deciso di scrivere per cantare tu i tuoi pezzi?
Ciao. Ti ringrazio molto. Scrivo da quando ero un ragazzino. Solo un tre anni fa ho deciso di cantare le mie canzoni: avevo paura del palco e pensavo non piacessero. Adesso vado verso i 37 e mi sto divertendo come un matto. Mi hanno chiesto perché ci abbia messo tanto. Ho risposto che rifletto molto prima di agire.
Le tue canzoni sono molto belle, mi ricordano molto De Gregori: quali autori ti sono di ispirazione?
Siamo ciò che mangiamo e ascoltiamo. De Gregori fa parte dei miei ascolti da sempre, tuttavia sono cresciuto con una vasta scelta di musica: da Baglioni a Peter Gabriel, da Lucio Dalla a Paolo Conte, al Fado e alla Bossa nova. E ho semplificato. Ascoltare molto aiuta molto.
Le tue “poesie” vengono fuori dalla vita di tutti i giorni?
Anche ma non solo: cerco di prendere spunti da tutto ciò che vedo. Ovviamente, quando è interessante.
Hai programmato un tour? Dove possiamo acquistare il tuo album?
Nel 2019 ho organizzato personalmente alcune serate molto diverse tra loro, in contesti medio-piccoli. Li ho chiamati i Concertini Piccini Picciò: sono piaciuti e nel 2020 replicheremo l’iniziativa.
L’album è su tutti gli store digitali e fisicamente si può acquistare dal sito “www.filippovilla.it”. Il cd fisico è più bello perché si può accarezzare e regalare. Fine della televendita. Applausi.
Un percorso artistico partito col botto: al debutto sei arrivato alla finale del Premio De Andrè che si è tenuto all’auditorium Parco della musica a Roma.
Ricordi la sensazione e cosa stavi facendo quando hai ricevuto questa notizia?
Davvero una cosa incredibile. Lo dico sempre: loro hanno creduto in me prima che lo facessi io stesso. Quando ho saputo di essere in finale è stato uno shock. Ero al lavoro, stordito.
Come è stato calcare un palco così prestigioso che ha visto tanti grandi artisti presentare la propria musica?
Un regalo bellissimo, una gentile concessione vissuta tuttavia con orgoglio: un palco così va ripagato e calcato con gioia. Così è stato. Inoltre è stata un’esperienza bellissima: mi hanno accompagnato sul palco mio padre e un caro amico. Nel pubblico c’erano parenti e amici. Una festosa gita indimenticabile.
Tra le tue canzoni è impossibile non notare “Sardine” che visto il momento storico sembra quasi avere un destino. Di cosa parla e quali aspetti potrebbero legare questa canzone al movimento nato da qualche mese?
Le “mie” sardine sono i migranti chiusi in una scatola in mezzo al mare. L’omonimia è un caso, tuttavia anche la mia canzone parla di accoglienza e di speranza. Siamo esseri umani e certe cose vanno oltre le bandiere e le piazze: condivido l’idea del movimento secondo la quale si può parlare di temi, anche scomodi, senza usare termini e modi divisivi. La politica è una cosa seria, questi ragazzi lo stanno facendo notare con classe disarmante.