E’ intitolata “Surrentum, vacanze da imperatori“, la mostra al Museo “Georges Vallet”, nella bellissima “Villa Fondi” a Piano di Sorrento, fino al 30 aprile 2019. Un exihibit che ruota intorno a due importanti opere, l'”Atleta di Koblanos“, arrivato in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e la seconda parte del bellissimo “Ninfeo a mosaico“ del Vallet, presente anche con una ricostruzione digitale. E’ un percorso espositivo che mostra le bellezze marmoree, musive e scultoree dell’area di Surrentum, in cui si integrano opere provenienti dalla penisola sorrentina e dalla collezione del museo. Non a caso, Il golfo di Napoli, dalla fine dell’età repubblicana e soprattutto nel I secolo dell’Impero, fu scelto dall’aristocrazia romana come luogo ideale per costruire lussuose ville. La bellezza del paesaggio e della veduta, il clima temperato, la fertilità della terra, il mare pescoso, e le vie di collegamento, favorirono l’addensarsi di costruzioni lungo tutto la costiera. Anche nella penisola sorrentina, da Vico Equense a Punta della Campanella, i numerosi ruderi che si intravedono sul costone roccioso e sulla spiaggia attestano la presenza di numerose ville marittime.
L'”Atleta di Koblanos” è esposto ai lati dello scalone del museo, proprio accanto alla colossale scultura di Demetra, anch’essa rinvenuta nella stessa, antica residenza. E’ una delle più belle statue in marmo, porta la firma di Koblanos, un noto scultore greco di Afrodisia, e testimonia la intensa circolazione di opere d’arte dall’Oriente e da tutto il Mediterraneo antico, per soddisfare la domanda degli imperatori e della classe senatoria. Il pregevole nudo maschile fu rinvenuto nel 1889, fra i resti di una villa romana. La corona d’olivo sul capo ci suggerisce che si tratta di un atleta, peraltro vincitore. Ce lo conferma la statuetta di Ercole posta accanto alla gamba destra che simboleggia il mondo del ginnasio, degli athla, (arte della lotta), a cui il giovane era dedito. Le fascette attorno ai pugni, ai polsi e agli avambracci indicano l’attività di pugilatore; essi rivestono i pugni come un’armatura, dotati di borchie metalliche e sono legati al braccio tramite un intreccio di cinghie. Il volto non è idealizzato alla greca, nè tantomeno rappresenta il giovane come una divinità: il pugile è colto in un momento di riposo, con lo sguardo basso, stanco, dopo una gara. La statua, databile nella prima metà del I sec.d.C., è firmata, sulla base, da Koblanos di Afrodisia, in Caria. La presenza di cave di eccellente marmo in questa regione, nonché la richiesta romana di opere d’arte, stimolò la fioritura di una celebre scuola di scultura.
Il “Ninfeo”, invece, di età Giulio-Claudia (50-55 d.C.), è uno degli esempi più rappresentativi del genere e meglio conservati in Campania. Fa parte di una delle sontuose ville marittime dedicate all'”otium” degli imperatori romani. Quella a cui appartiene il ninfeo è posta di fronte a Capri, tra capo di Massa e punta della Campanella. La straordinarietà del ninfeo è data sia dalla impostazione scenografica della struttura architettonica, sia dalla decorazione delle pareti interamente rivestite a mosaico. E’ formato da una estesa parete che ha una lunghezza di 24 metri per un’altezza di 2,7 metri, che alterna nicchie circolari e rettangolari e ospita in esse fontane e zampilli e, al suo centro, una grande cascata. Di fronte, vi è una grande piscina rettangolare dipinta di azzurro; ad essa la parete fa da sfondo policromo. La decorazione realizzata su tutta la parete si sviluppa nella tecnica del mosaico, il tema centrale è un giardino fiorito popolato di uccelli, molto utilizzato nella pittura del III stile pompeiano. Il giardino è posto dietro ad una transenna ed emerge sul blu egizio utilizzato come sfondo. Ad esso si aggiungono nature morte, fondali marini ed elementi decorativi relativi al repertorio pittorico del IV stile pompeiano. La scelta delle tessere è composta da materiali di varia natura e provenienza: pasta vitrea di colori e sfumature diverse con largo utilizzo di blu egizio e calcari colorati, conchiglie marine e pietre dure. Il mosaico fu largamente usato per le sue garanzie di “pictura aeterna“, per la sua luminosità e per le sue sfumature cangianti. E’ facile immaginare quanto, in questo caso, acqua e sole abbiano accentuato il fascino di queste caratteristiche. Il ninfeo fu ricoperto da cumuli di cenere dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che seppellì questa dimora e le altre ville della costiera sorrentina.
In questa occasione è stato affiancato da una videoproiezione con la ricostruzione digitale che ne completa le parti lacunose e ne fa immaginare l’intera bellezza.