“Non mi sono mai espressa direttamente tramite i social perché queste ‘persone’, che nel tempo continuano a dimostrarsi di una pochezza inaudita, non meritano la mia attenzione. Ma ogni volta è veramente dura. Ci hanno costretto a vivere con il cuore a metà . Il tempo aggiusta le cose, dicono, ma non sempre. Non importa quanto tempo passerà, mio padre non varcherà più la porta di casa, non incontreremo più i suoi occhi complici e non sentiremo più la sua voce o il suo profumo. Vedere chi ti ha portato via l’altra parte del tuo cuore a poco più di un anno dal fatto, così ritratto sui social, è dura e fa male. Mio padre era entusiasta della vita, profumava di vita e gli hanno tolto la possibilità di realizzare i suoi sogni. Ci auguriamo che il 19 settembre, a chi crede che sia un passatempo divertente colpire alle spalle un essere umano, a chi ha la crudeltà di guardare negli occhi un uomo a terra ferito indifeso …agonizzante e continuare a colpire, a chi riesce a vivere consapevole di aver tolto un papà a dei figli ed un marito ad una moglie senza il minimo pentimento, a queste persone ci auguriamo non venga scontato nulla, ma che quel giorno la giustizia, come dovrebbe essere sempre e per tutti gli uomini in uno Stato di diritto, faccia il suo corso!”
Queste parole, scritte sul suo profilo Facebook e che scuotono il profondo delle coscienze, appartengono a Marta Della Corte, figlia di Francesco Della Corte, la guardia giurata che, mentre prestava servizio alla stazione metropolitana di Piscinola, la sera del 13 marzo 2018, è stata brutalmente uccisa da tre ragazzini, che volevano rubargli la pistola di ordinanza per poi rivendersela. I tre imputati, tutti minorenni, rei confessi sono stati condannati, in primo grado, a 16 anni e mezzo di reclusione. Definiti “indifferenti al male”, ad essi è stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà.
Ecco, proviamo a metterci nei panni di una figlia che ha perso il padre in una maniera tanto ingiusta e inaccettabile, mentre stava semplicemente svolgendo il suo lavoro; proviamo a calarci nel suo dolore arrivato all’improvviso a lacerare per sempre la sua vita e quella della sua famiglia. Ebbene, come reagiremmo noi nell’apprendere che a uno degli assassini è stato concesso un permesso premio usato per festeggiare i suoi 18 anni circondato, con tanto di foto allegre sui social, da parenti, fidanzata e amici? Lo sfogo e le parole di Marta sono perfettamente comprensibili e condivisibili. Il compleanno risale a luglio e le immagini, secondo quanto dichiarato dalla difesa dell’imputato, sarebbero state postate, qualche giorno dopo, su Instagram e Facebook da una parente a insaputa del giovane. Solo nelle scorse ore, però, è venuta fuori la notizia e sono state rese pubbliche le foto, le quali hanno destato rabbia e sconcerto tra i familiari della vittima e anche tra le guardie giurate che hanno deciso di indossare per tre giorni un fascia a lutto come segno di protesta.
Intervistata sulla questione da la Repubblica, Marta Della Corte ha affermato quanto segue: “È vergognoso, mi chiedo come sia possibile concedere un permesso premio a una persona che solo un anno fa è stata condannata per omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà. Lo trovo assurdo, non c’è niente di rieducativo in tutto questo. Io non ho festeggiato il mio, di compleanno, perché non me la sarei mai sentita dopo il dolore che ho subito. E questi ragazzi, allora, dove hanno trovato il coraggio dopo un delitto tanto grave? Evidentemente, non hanno compreso quello che hanno fatto.”
Chiaramente, noi non vogliamo scadere in un approccio, per così dire, forcaiolo che, ultimamente, dilaga a più livelli. Sappiamo bene che, secondo quanto sancisce la nostra Costituzione, il carcere dovrebbe avere un fine rieducativo e non meramente puntivo, così come sappiamo bene che la legislazione prevede, a determinate condizioni, per i detenuti permessi e congedi. Nello specifico, il ragazzo ha chiesto ed ottenuto, tremite il suo avvocato, di allontanersi temporaneamente dal penitenziario di Airola, con il previo consenso degli assistenti sociali preposti, quando si tratta di minori, alla valutazione di questi casi. Tuttavia, è quantomeno necessario che, specie quando si affrontano episodi tanto duri per la loro cruenza, si presti assoluta attenzione nella decisione da effettuare, in particolar modo in questi tempi dove tutto viene diffuso sui social. Probabilmente, c’è qualcosa da migliorare e riformare nelle modalità in cui vengono concessi tali permessi o sconti perché il rischio è appunto quello di offendere ingiustamente gli affetti delle vittime, oltre a quello di creare un senso di sfiducia verso le autorità giudiziarie da parte dell’opinione pubblica. In tal senso, basta leggere le centinaia di commenti sul web.
Sulla vicenda si è espresso pure Franco Gabrielli, capo della Polizia, il quale intervistato a Napoli, ha risposto, riferendosi alla figlia del vigilante: “Come darle torto”, aggiungendo poi: “il problema è che questo Paese morirà di bulimia normativa. Si fanno leggi in continuazione che poi alla fine non producono gli effetti, c’è la necessità di una rivisitazione complessiva. Il tema è che gli interventi normativi spot a volte producono più danni del preesistente. C’è una parolina magica che però nel nostro Paese ha sempre avuto poco successo ed è riforma”.
Il 19 settembre, dunque, è previsto il processo d’appello e ci auguriamo nella maniera più sentita che la Giustizia possa continuare in maniera netta a fare il suo corso. Chiediamo anche noi, come nella lettera indirizzata ai giudici, il “massimo rigore”. Intanto, esprimiamo vicinanza e totale solidarietà a Marta e a tutta la famiglia di Della Corte.