Recentemente Jonathan Hickman ha donato agli X-Men un modo per aggirare la morte: una sorta di protocollo di resurrezione. Esso, come raccontato su Power of X, permette ai caduti in azione di tornare in vita, con nuovi corpi e i ricordi accumulati al momento della dipartita. Una specie di backup genetico e bio-informatico basato sui poteri combinati di alcuni mutanti e una complessa serie di “super-server”.
L’idea, affascinante sebbene non del tutto originale, non poteva non generare dubbi e interrogativi, che infatti sono emersi pubtualmente su Giant Size X-Men: Storm #1, di Jonathan Hickman, Russell Dauterman, Matthew Wilson, uscito questo mese in USA. L’albo non è ancora edito in Italia e questo aPer chiunque non voglia sapere altro lancio ufficialmente qui UN grosso e doveroso:
ALLARME SPOILER
Dopo una battaglia con i Children of the Vault e Orchis, Tempresta viene infettata con un virus meccanico, e le vengono pronosticati 30 giorni di vita. Non una rapida e drammatica morte in battaglia dunque, ma una fine lunga e dolorosa. Cosa che Emma Frost le propone apertamente di evitare, usando proprio il protocollo di resurrezione… Lei però rifiuta. Fortunatamente, Monet trova una cura al virus, e dopo una rapida sortita in una base A.I.M., gli X-Men hanno tutto l’occorrente per salvare Ororo senza l’uso del protocollo.
Per la ex leader dei mutanti, la questione però rimane: quanto rimarrebbero umani i mutanti, se iniziassero a considerare il protocollo di resurrezione un metodo di “restart” della propria vita? Certo, uno dei benefici delle nuove (fanta)-tecnologie a loro disposizione, è il non doversi preoccupare troppo delle situazioni senza via di uscita. Ma se questo li portasse a pensare di usare quelle tecnologie come una via di fuga abituale, esse non ridurrebbero il valore delle loro stesse vite? Più in generale, ci si potrebbe chiedere come agirebbe sul piano psicologico ed etico una tecnologia di questo tipo. Se e come essa riscriverebbe la percezione e la definizione stessa di umanità.
Ma visto che tale tecnologia è relegata all’immaginazione, e che le tematiche da essa sfiorate sono estremamente complesse, conviene rimanere sul piano della finzione e del fumetto, ribaltando queste domande in questioni di meta-narrazione. È strano infatti, leggere questo tipo di interrogativi sulle pagine di una delle major del fumetto americano, che come è noto, hanno fatto dell’assenza di finale uno dei loro tratti specifici. Dopo tutto, il continuo uso di “deus ex-machina” per salvare o recuperare personaggi popolari non nega loro qualsiasi forma di compimento? E questo non diminuisce il loro valore narrative, soprattutto in un genere, come quello super-eroistico, che per molti aspetti traduce e riporta al contemporaneo il ruolo e gli stilemi della letteratura epica e mitica? Un eroe immaginario è davvero un eroe se è protetto da un protocollo narrativo di salvataggio e resurrezione? Ma soprattutto, una storia è ancora una storia senza una fine?
E lo stesso Hickman, si sarà accorto del paradosso? O nelle sue pagine dobbiamo leggere una velata provocazione ad un certo modo di fare fumetti?