Bussano alla porta. Mi dirigo verso l’ingresso ed apro distrattamente, senza nemmeno chiedere chi ci sia dall’altra parte. Non scorgo nessuno. Penso ad uno scherzo, ma mentre afferro la maniglia per richiudere noto una busta per terra. Non c’è intestazione. Incuriosito siedo sul divano e dopo una breve analisi decido di aprirla. All’interno trovo quello che sembra essere una sorta di invito su carta molto pregiata di color oro. Al centro, sul lato a vista, noto subito la pleonastica scritta “Golden ticket” stampata in rilievo. Lo giro convinto di trovare sul lato opposto un numero di telefono o quanto meno un indirizzo, invece nulla. La sensazione è di aver vinto qualcosa, pur non avendo partecipato a nessun concorso. Mi abbandono all’attimo di euforia, come un novello Charlie Bucket. O dovrei temere per la mia incolumità, come Augustus Gloop? Quale sorta di fabbrica andrò a visitare? Di quali pericolose meraviglie questo biglietto spalanca le porte? Si ripropone alla mente l’idea dello scherzo.
D’improvviso sono avvolto da uno strano torpore. Sono fiacco e con gli occhi pesanti. La resistenza dura qualche istante, ma in breve cedo per sprofondare nel sonno.
Tornato lucido, come dopo un attimo di appannamento, noto che la stanza in cui mi trovo adesso non è certo il mio soggiorno!
Il freddo è di quelli pungenti, invernali. Ripenso al mio avvolgente divano poiché ora occupo un posto su una sgangherata quanto scomoda sedia di legno, al centro di una stanza buia, senza finestre. Credo di essere finito in un vecchio scantinato. Magra consolazione, non sono solo. Lentamente alcune persone agghindate di tutto punto, conversando tra loro, stanno prendendo posto.
Un signore anziano si avvicina e con cortesia chiede di poter visionare il biglietto. Dapprima entro nel panico ma in breve tempo riordino i pensieri e mi dico di non poter essere che in un sogno, quindi non c’è di che preoccuparsi. Del resto il signore parla in francese, lingua che non conosco, eppure comprendo perfettamente ciò che dice. Metto le mani in tasca e al tatto sento il misterioso biglietto dorato. Andrà più che bene! Lo mostro al controllore, che infatti ringrazia e rassicura che lo spettacolo avrà inizio fra breve. Spettacolo? Continuo a guardarmi intorno rendendomi conto di non essere vestito in modo adeguato: gli uomini indossano abiti neri e cappelli a cilindro, le donne eleganti abiti da sera e sgargianti copricapi. Che sia una festa in maschera ambientata nel primo ‘900?
Fa il suo ingresso un uomo bizzarro, stempiato e con dei folti baffi aguzzi. Attrae l’attenzione di molti non solo per l’aspetto, quanto per essere uno dei pochissimi a mostrare un invito. Tutti gli altri pagano un franco per un biglietto, il che conferma l’ambientazione francese. Siede proprio accanto a me. È chiaramente impaziente, freme. Ne approfitto per qualche domanda, notando in lui un’espressione di familiare cordialità. Per prima cosa domando che giorno sia. “Sabato, monsieur”. Chiedo una data precisa, “28 Dicembre, monsieur!”. Ecco spiegato il gelo. Domando anche l’anno e il baffetto, senza batter ciglio, risponde “Oggi è Sabato 28 Dicembre 1895!”.
Immediatamente tutte le tessere del mosaico si ricompongono: non posso che essere a Parigi, al Grand Cafè di Boulevard des Capucines! L’anziano bigliettaio è sicuramente Antoine Lumière, padre dei celeberrimi fratelli! Non ho dubbi “Sto per assistere alla prima proiezione pubblica del cinematografo!”, esclamo a voce alta.
Il gentile signore seduto accanto a me mi fa notare con delicatezza che in realtà nove mesi fa (22 marzo 1985), sempre a Parigi, si è già tenuta la prima dimostrazione dei due fratelli Lumiére, seppur non fosse presente un pubblico pagante ma addetti del settore fotografico. Racconta inoltre dell’affascinante kinetoscopio di Thomas Edison, apparecchio con già con alcuni anni alle spalle e che ben conosce, capace di riprodurre un film (fabbrica italiana laminati metallici) per un unico spettatore alla volta attraverso uno spioncino sulla sua sommità. Non nasconde comunque le immense aspettative per il nuovo marchingegno dei Lumière. Questa nuova dimensione collettiva lo entusiasma.
Si spengono le luci in sala. Conto trentatré spettatori. Mi sarei atteso un pubblico molto più nutrito per un evento di tale portata. Poco male, a breve tutti fuggiranno a gambe levate in preda al panico: sta per fare la sua apparizione il treno più famoso del cinema!
Dal centro della sala si ode il rumore del cinematografo che si avvia. Ecco, inizia! Le immagini appaiono in bianco e nero sul piccolo schermo quadrato: un cancello aperto, donne e uomini che ordinatamente escono da una fabbrica, fine. Gli ingranaggi che muovono la pellicola sono gli unici a produrre suono. Non c’è traccia neppure dell’iconico pianoforte (perennemente scordato) a fungere da sottofondo.
Trascorso un minuto appaiono tre uomini alle prese con un cavallo, poi una bambina che tenta di afferrare un pesce rosso da una boccia di vetro. Nuovamente uno stuolo di signori eleganti che attraversano un ponte. Più che a moderni film assisto a documenti di vita quotidiana. Circa mezz’ora ed è tutto terminato. Dieci clip da nemmeno un minuto ciascuna e si riaccendono le luci. Nessun treno, nessun fuggi fuggi. Sono un po’ deluso ad essere sincero, eppure si respira un entusiasmo generale. Il signore accanto a me è folgorato a tal punto che sta cercando di convincere la famiglia Lumière a vendergli un Domitor (contrazione di “dominator”), nome originario del cinematografo. I fratelli, però, non sembrano affatto interessati all’affare. Antoine lo scoraggia addirittura, prevedendo una rapida caduta di interesse per questa “invenzione senza futuro”.
In breve l’entusiasmo contagia però anche me, diamine, ho assistito letteralmente alla nascita di quella che qualche anno più tardi sarà definita dal pugliese Ricciotto Canudo “la settima arte”. Il pubblico, ancora sbigottito, rumorosamente si avvia verso l’uscita. Prima che sia troppo lontano, richiamo l’attenzione del mio compagno di sala, chiedendogli il nome. “Georges Méliès, monsieur!”. Sgrano gli occhi.
Uscito il trentatreesimo spettatore, tutto torna buio e silenzioso.
Mi sveglio di soprassalto nel mio soggiorno. Che sogno incredibile, penso. Tra le mani stringo ancora il biglietto dorato. Ora reca una scritta che sta velocemente svanendo “Cinematographe Lumière. Entrée un franc”.