La bizzarra para-eroina dei Suicide-Squad al suo primo film dedicato. E la curiosità intorno questa pellicola era piuttosto alta.
Il Joker molla Harley Quinn (Margot Robbie), e quest’ultima si ritrova piuttosto a disagio con la sua nuova condizione da single, anche perché stare con il più bislacco patron del crimine la preservava dalle grinfie dello spietato universo criminale di Gotham City.
Manco a farlo apposta, non appena dà notizia della per lei dolorosa separazione, da subito si ritrova nel mirino di numerosi soggetti che in passato se la sono legata al dito. Su tutti, l’istrionico boss Black Mask, coadiuvato da uno spietato sicario di nome Zsasz.
Costretta a collaborare con i suoi potenziali assassini per non rimetterci le penne, accetta di mettersi sulle tracce di un diamante, finito nelle mani della giovane Cassandra Cain; a quest’ultima, tuttavia, paiono interessati anche altri soggetti poco raccomandabili, oltre- come se non bastasse – pure la poliziotta Renee Montoya e la cantante Black Canary.
E c’è da dire che nel frattempo, giusto per non farsi mancare niente, una misteriosissima ammazza gangster sta operando in città, armata di una solo apparentemente anacronistica balestra.
Scandito dal sottofondo di una sempre presente voce della protagonista, ‘Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn‘ è un film un po’ pasticciato, connotato da una sequela forse eccessiva di salti fronte-retro nel tempo e nello spazio, che – come spesso accade in questo tipo di pellicole – dà il meglio di sè nelle scene Action.
Il team di stuntmen coordinato da Chad Stahelski ha svolto una notevole mole di lavoro acrobatico e i combattimenti sono piuttosto spettacolosi. Sebbene il tasso di violenza sia più alto del normale (il film ha il visto di censura R, alla stregua di quello che a suo tempo fu attribuito a ”Deadpool” nei cinema americani) il tono non vuole essere esplicito e scioccante, ma giocoso come un cartoon dei looney tunes, evocati non a caso quando Harley guarda alla Tv il gatto Silvestro.
Stahelski, noto per la saga di ‘John Wick’ e con una lunghissima carriera negli stunt, era stato chiamato per nuove riprese durante la post-produzione del film, di fatto a sostituzione delle scene d’azione dirette dalla regista del film Cathy Yan.
La Yan è stata in grado di conferire gran ritmo al film, e difatti le sequenze di Stahelski si inseriscono in modo naturale nel contesto. Purtroppo però, e in non poche occasioni, la sceneggiatura è una mitragliata di battute piuttosto fini a se stesse e poco sapide (quelle decenti fanno riferimento al personaggio di Mary Elizabeth Winstead), oltre che di continui quanto superflui tentativi di spiegare quanto accade.
Il film fatica a far entrare in scena le ‘Birds of Prey’ del titolo, che sono di fatto spalle di Harley ma al tempo stesso hanno le loro articolate origini a fumetti da rispettare. Inoltre si inseriscono in una trama che ci si rifiuta di raccontare in modo lineare, rendendo necessarie ulteriori digressioni visive con spiegazioni della voce over in accompagnamento. Harley è del resto afflitta da una continua parlantina, non diversamente da ”Deadpool”, che è chiaramente il film più vicino a questo ‘Birds of Prey’.
Se in ‘Deadpool’ però si sbertucciava l’eroismo tutto d’un pezzo dei supereroi e si sporcavano i combattimenti con un’iperviolenza splatter, qui al sangue si sostituiscono i glitter e i martelli da clown di Harley: la quale addita quali bersagli gli apparati ammantati di supponente celodurismo, quali il corpo di polizia cittadino e il mondo perverso delle combriccole criminali di vario tenore.
A loro va a contrapporsi un femmineo team che, poco a volta, porta la Quinn verso una fase di progressiva “redenzione”. Tuttavia, le altre “predatrici” non tendono minimamente a belligerare con correttezza, non facendosi alcuno scrupolo nel cercare di prevalere sull’avversario anche a costo di menomarlo o farlo fuori.
Insomma la dinamica che si crea in ”Deadpool” tra il protagonista e Colosso è qui assente, così come mancano del tutto i doppi sensi (pan)sessuali. Ne viene quindi un film più addomestico, che comunque stravolge la rappresentazione delle eroine con Harley che fa la matta, malmena bruti a calci nei punti bassi, si prende una iena come cucciolo e si ubriaca nei club fino a vomitare nella borsetta.
Harley Quinn è, in fondo, una antieroina capace di riscuotere la propria indipendenza solo nel dolore personale (ovvero dopo essere stata piantata dal Joker), coadiuvata da altre figliole toste e determinate, decise a combattere e a farsi valere in un universo intriso di machismo spinto (il Black Mask interpretato da Ewan McGregor ne è lampante esempio).
I villain non rilevano alquanto, e non c’è mai la netta percezione che la nostra Harley sia davvero in pericolo. Discreta è invece la variegatezza delle fasi “Combat”, così come suggestive sono le location indicate, molto simili per atmosfere a quelle delle prime serie televisive dedicate al grande pipistrello della terra di Gotham. Davvero intrigante è poi il cartoon di Bruce Timm, che apre le danze e ripropone il personaggio nello stile originale della serie animata di Batman del 1992, alla quale deve la sua prima apparizione nel mondo della pellicola visiva.
Il gangster-film di questa recensione sconta la marcatura a fuoco di un approccio pesante e ormai involuto, carente in quello scintillio di scrittura che di recente ha caratterizzato in positivo i film sui supereroi o sui soggetti a questi assimilabili.
Certamente, le attrici scese in campo sono molto brave e convincenti, ben abbigliate di sequenza in sequenza e di aspetto a dir poco gradevole.
Tuttavia alcune fasi sono piuttosto stucchevoli per verbosità e pedanteria espressa sempre a un filo dal trash, ogni tanto intervallate – fortuna per le orecchie dello spettatore- da sequenze dinamiche di buona fattura e costruzione, specie quando si arriva alle fasi fighting.
Ovvero in quegli spicchi di film nei quali, pur non riuscendo proprio a distinguere i buoni dai cattivi, gli amanti del genere sapranno divertirsi.