“Totò, Peppino e la… malafemmina” compie sessant’anni. Il film diretto da Camillo Mastrocinque, con un giovane Ettore Scola come aiuto-regista , arrivò nei cinema italiani il 14 agosto del 1956. Un film figlio di degli anni ’50 , quando l’Italia viveva ancora i postumi del dopoguerra, il boom degli anni ’60 era ancora lontano e la voglia di spensieratezza era tanta.
Il film è di una vera e propria escalation comica con una serie di situazioni che, con un ininterrotto meccanismo di equivoci, intrattiene irresistibilmente lo spettatore per tutta la durata della pellicola. Un piccolo capolavoro che riscrive la storia del cinema con la semplicità della commedia dell’arte e con l’ingenuità di un cinema artigiano, povero nella sua composizione, scrittura e messa in scena, ma profondamente vero, con un’efficacia senza pari. Il filmsarà ricordato per alcune scene indimenticabili realizzate grazie a due “mostri” della cinematografia italiana: Totò e Peppino de Filippo.
Basta ricordare la lettera alla “malafemmina d’alto bordo”, dettata da Totò a Peppino De Filippo, che iniziava con «Signorina, veniamo noi con questa mia a dirvi che, scusate se sono poche, ma settecentomila lire, noi ci fanno specie che quest’anno c’è una bella moria delle vacche come voi ben sapete» e si chiudeva con l’indelebile firma in calce «I fratelli Caponi, che siamo noi».
Altrettanto celebre la gag che vede Totò e Peppino in piazza del Duomo alle prese con il vigile milanese scambiato per un “generale austriaco” a cui devono chiedere indicazioni, memorabile la battuta: «per sapere per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?»