“La vita è una cella un po’ fuori dell’ordinario, più uno è povero più si restringono i metri quadrati a sua disposizione.”
“L’amore dei poveri è il più fragile: o il mosaico delle anime combacia perfettamente o tutto si frantuma e disperde, e l’amore diventa abbrutimento, diventa disperazione, diventa odio, ed anche tragedia.”
Vasco Pratolini
In un Paese moralmente, intellettualmente e culturalmente in affanno, ricordare i grandi del passato, che si sono distinti nelle arti come nella letteratura, è sicuramente un dovere per tentare almeno di ricucire, attorno a dei valori, il tessuto sociale lacerato negli anni. In tal senso, nell’anniversario della sua scomparsa, oggi vogliamo parlare di uno dei maggiori scrittori italiani del secondo Novecento. Era il 12 gennaio del 1991, quando a Roma, infatti, venne a mancare Vasco Pratolini, autore di racconti e romanzi che rappresentano l’apice della tradizione realista e, in parte, neorealista in Italia. Egli seppe, invero, descrivere perfettamente, con stile semplice e efficace, la realtà della vita, della gente, del suo quartiere e del mercato fiorentino, tra miseria e difficoltà, ma non senza speranza.
Lo scrittore nacque, da una famiglia operaia, a Firenze il 19 ottobre del 1913. Il giovane compì studi irregolari, per lo più da autodidatta, in quanto, fin da subito, dovette cominicare a lavorare, entrando in contatto con quella realtà che, in effetti, permea la sua produzione letteraria. Nel 1935, gli venne diagnosticata la tubercolosi, dalla quale fortunamente guarì, e così nel 1937 cominciò a frequentare il pittore Ottone Rosai che lo indusse a scrivere di politica sulla rivista Il Bargello. Successivamente, fondò egli stesso, insieme al poeta Alfonso Gatto, una rivista dal titolo Campo di Marte e, soprattutto su suggerimento dell’amico Elio Vittorini, cominciò a concentrarsi più sulla letteratura che sulla politica.
Trasferitosi a Roma, nel 1941, Pratolini pubblicò Il tappeto verde, il suo primo romanzo. Negli anni successivi, dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza, lo scrittore si spostò a Napoli, dove insegnò all’Istituto d’arte. Qui egli scrisse “Cronache di poveri amanti” (1947), incentrato sulla la vita degli abitanti della via del Corno, a Firenze, dove abitò con i nonni materni. Da questo romanzo, poi, nel 1954, Carlo Lizzani ne trasse un film.
Negli anni in cui visse nel capoluogo campano, Pratolini, in realtà, scrisse altri libri di successo, quali Un eroe del nostro tempo e Le ragazze di San Frediano, dal quale pure fu ispirato un film, diretto da Valerio Zurlini sempre nel 1954. Lo stesso regista decise, nel 1962, di portare sul grande schermo anche un altro capolavoro dello scrittore, ovvero Cronaca familiare, un dialogo immaginario con il fratello defunto.
Ritornato nella capitale, Pratolini, nel 1955, diede alle stampe Metello, il primo romanzo della trilogia Una storia italiana, attraverso la quale offrì una panoramica sulla società del nostro Paese, quindi uscendo dal solo capoluogo toscano, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Al Metello, dove raccontò il modo operaio, fece infatti seguire prima Lo scialo sul mondo borghese e poi Allegoria e derisione su quello intellettuale.
Oltre alla stesura di libri, in aggiunta, lo scrittore si cimentò pure nella sceneggiatura di pellicole cinematografiche, delle quali possiamo citare Paisà di Rossellini, Rocco e i suoi fratelli di Visconti e Le Quattro Giornate di Napoli di Nanni Loy.
L’ultima sua pubblicazione risale al 1981, quando pubblicò Il Mannello di Natascia.