Luis Sepulveda aveva 70 anni ed il Coronavirus ce l’ha portato via.
In ospedale ad Oviedo, in Spagna, ricoverato da febbraio, dopo un apparente miglioramento, si è spenta una delle penne migliori del Novecento che il mondo abbia mai letto. Prima del Covid-19, lo scrittore era impegnato nella stesura di un nuovo romanzo che dovrebbe intitolarsi “Agua mala”. Un uomo dalle formidabili passioni che ci ha messo di fronte alle grandezze e miserie della storia del Novecento, uno scrittore non solo per un pubblico adulto ma per tutte le età.
Cresciuto in un quartiere proletario di Santiago del Cile a 13 anni sognava di diventare un calciatore ma l’incontro con Gloria, ”la ragazza piu’ bella del mondo” lo fece andare in un’altra direzione, verso la poesia che era la cosa che lei amava di più. Durante la presidenza di Salvador Allende si era iscritto al Partito Socialista ed era entrato a far parte della guardia personale del Presidente cileno. Arrestato nel 1973 dopo il colpo di stato con cui si era instaurata la dittatura di Pinochet, era stato liberato sette mesi dopo per le pressioni di Amnesty International ma, un nuovo arresto lo aveva condannato all’esilio. Nel 1979 in Nicaragua si era unito alle Brigate Internazionali Simon Bolivar. In Europa si era stabilito dopo la fine della rivoluzione, prima ad Amburgo e poi in Francia. Viveva nelle Asturie dal 1996, a Gijon, con la moglie Carmen Yáñez, poetessa cilena e grande amore di una vita e proprio Carmen ripercorre gli ultimi 51 giorni della loro vita insieme raccontando: “Luis ha iniziato a sentirsi male il 25 febbraio, quarantotto ore dopo aver partecipato a un festival letterario nel nord del Portogallo. Dopo che gli era stata diagnosticata una polmonite nel centro medico a cui ci eravamo rivolti ed è risultato positivo al Covid 19, un’ambulanza ci ha portato nell’ospedale di Oviedo. È andato a letto sulle sue gambe, all’inizio non sembrava così grave. Lo sentivo al telefono, era felice perché i miei sintomi erano più lievi e perché io ero risultata negativa al tampone, ma poco dopo si è aggravato”. Sedato farmacologicamente, in rianimazione, ha lottato per settimane.
Luis, grazie per l’eccezionale eredità letteraria che hai lasciato, non sarai mai dimenticato.
Il vecchio che leggeva romanzi d’amore
Il vecchio Antonio José Bolivar vive ai margini della foresta amazzonica equadoriana. Vi è approdato dopo molte disavventure che non gli hanno lasciato molto: i suoi tanti anni, la fotografia sbiadita di una donna che fu sua moglie, i ricordi di un’esperienza, finita male, di colono bianco e alcuni romanzi d’amore che legge e rilegge nella solitudine della sua capanna sulla riva del grande fiume. Ma nella sua mente, nel suo corpo e nel suo cuore è custodito un tesoro inesauribile, che gli viene dall’aver vissuto “dentro” la grande foresta, insieme agli indios shuar: una sapienza particolare, un accordo intimo con i ritmi e i segreti della natura che nessuno dei famelici gringos saprà mai capire.
Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare
I gabbiani sorvolano la foce dell’Elba, nel mare del Nord. “Banco di aringhe a sinistra” stride il gabbiano di vedetta e Kengah si tuffa. Ma quando riemerge, il mare è una distesa di petrolio. A stento spicca il volo, raggiunge la terra ferma, ma poi stremata precipita su un balcone di Amburgo. C’è un micio nero di nome Zorba su quel balcone, un grosso gatto cui la gabbiana morente affida l’uovo che sta per deporre, non prima di aver ottenuto dal gatto solenni promesse: che lo coverà amorevolmente, che non si mangerà il piccolo e che, soprattutto, gli insegnerà a volare. E se per mantenere le prime due promesse sarà sufficiente l’amore materno di Zorba, per la terza ci vorrà una grande idea e l’aiuto di tutti…
Diario di un killer sentimentale
Un professionista è sempre un professionista, ma la giornata era iniziata male: faceva un caldo infernale a Madrid e la sua amichetta francese l’aveva piantato come un cretino per qualcuno incontrato a Veracruz. La compagnia di una buona bottiglia di whisky e di una mulatta che si portava dietro tutta l’aria dei Caraibi non gli aveva risollevato l’umore, quella ragazzina viziata dai fianchi sodi e dalla bocca rossa lo aveva proprio messo al tappeto. In fondo, dietro i modi da duro, lui era un killer sentimentale. Non che fosse superstizioso, ma in una giornata del genere la cosa migliore sarebbe stata non accettare incarichi, anche se la ricompensa aveva sei zeri sulla destra ed era esentasse. Il tipo che doveva eliminare, uno con l’aria dell’idealista, ma anche di chi non soffre la solitudine fra le lenzuola, non gli piaceva affatto, puzzava troppo di filantropia. I retroscena dell’incarico, però, lo incuriosivano stranamente. Chi voleva la morte di quel messicano? Quali peccati aveva commesso? Come mai due gringo, agenti della D.E.A., sorvegliavano la sua camera? Perché un filantropo appariva coinvolto in traffici di droga? Era sempre rischioso farsi troppe domande in un mestiere come il suo dove non esistevano licenziamenti ma certificati di morte.
Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico
A Monaco, Max è cresciuto insieme al suo gatto Mix, con cui ha un legame molto profondo. Raggiunta l’indipendenza dai genitori, Max va a vivere da solo portandosi dietro l’amato gatto. Il suo lavoro, purtroppo, lo porta spesso fuori casa e Mix, che sta invecchiando e perdendo la vista, è costretto a passare lunghe ore in solitudine. Ma un giorno sente provenire dei rumori dalla dispensa e intuisce che dev’esserci un topo…
Storie ribelli
In queste pagine vibranti di passione affiora di continuo il narratore di razza, con i racconti densi e fulminei che da sempre sono la sua cifra distintiva. Il volume si apre con un breve racconto, 11 settembre 1973: E ‘Johny’ prese il fucile, dedicato alla memoria di Oscar Reinaldo Lagos Rios, il più giovane della scorta che quel giorno maledetto restò fino alla fine accanto al presidente Allende nel palazzo della Moneda, e si chiude con il testo scritto a caldo nel giorno della morte di Pinochet. In mezzo i ricordi di una vita avventurosa, le vicende di cui sono protagonisti amici e «maestri» come, tra gli altri, Neruda, Saramago, le storie in cui filtra il suo impegno per la natura e l’ambiente… E su tutto il piacere di narrare.
Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa
Da una conchiglia che un bambino raccoglie su una spiaggia cilena, a sud, molto a sud del mondo, una voce si leva, carica di memorie e di saggezza. È la voce della balena bianca, l’animale mitico che per decenni ha presidiato le acque che separano la costa da un’isola sacra per la gente nativa di quel luogo, la Gente del Mare. Il capodoglio color della luna, la creatura più grande di tutto l’oceano, ha conosciuto l’immensa solitudine e l’immensa profondità degli abissi, e ha dedicato la sua vita a svolgere con fedeltà il compito che gli è stato affidato da un capodoglio più anziano: un compito misterioso e cruciale, frutto di un patto che lega da tempo immemore le balene e la Gente del Mare. Per onorarlo, la grande balena bianca ha dovuto proteggere quel tratto di mare da altri uomini, i forestieri che con le loro navi vengono a portare via ogni cosa anche senza averne bisogno, senza riconoscenza e senza rispetto. Sono stati loro, i balenieri, a raccontare finora la storia della temutissima balena bianca, ma è venuto il momento che sia lei a prendere la parola e a far giungere fino a noi la sua voce antica come l’idioma del mare.