Sarà la suggestione indotta dal COVID-19 e dalle conseguenze inattese che la pandemia ha comportato, a livello di stile di vita e di abitudini, ma sembra proprio che gli italiani (ma il sospetto è che non si tratti di un fenomeno su scala nazionale) non riescano più a staccarsi dall’effetto-pandemia, inseguendo in maniera quasi compulsiva qualsiasi contenuto si leghi a tale tematica. Da un lato, come è ormai prassi in queste settimane, si seguono con regolarità notiziari e approfondimenti che legano le tematiche di natura cronachistica (quelle tristemente scandite dalla conta delle vittime e dalla diffusione del contagio) a quelle di natura economica (legate soprattutto all’imminente crisi finanziaria post-emergenza). Dall’altro, si cercano prodotti di evasione in film e serie TV; anche se, a quanto pare, di “evadere” dall’argomento pandemia gli italiani non hanno proprio voglia.
Attraverso i dati ricavabili dalle principali piattaforme e dai siti di streaming (come il genio dello streaming), sembra che ad attirare gli spettatori siano prodotti audiovisivi in linea con la temperie che stiamo attraversando. Si è scritto molto, in questi mesi, del valore profetico di un film come Contagion di Steven Soderbergh, che nel 2011 dipingeva uno scenario incredibilmente analogo a quello attuale. Vale a dire: virus sconosciuto esportato dalla Cina che si trasmette anche per contatto e miete milioni di vittime in tutto il mondo. Nella realtà non siamo a quei livelli di mortalità, ma si sa che il cinema è territorio dell’iperbole; per il resto quasi tutto combacia. Ma il film di Soderbergh è in ottima compagnia.
Tratta dall’omonimo romanzo-fiume di Stephen King, L’ombra dello scorpione è una serie TV del 1994 diretta da Mick Garris, che sta godendo in questi mesi di una rinnovata celebrità, malgrado la fattura non eccelsa. Sarà per la popolarità del suo autore letterario; sarà perché la produzione di una nuova serie ispirata al medesimo romanzo, per quanto annunciata già da un anno, è attualmente ferma. Sarà soprattutto per la trama: un virus simile all’influenza fa strage dell’umanità. I pochi immuni si radunano per contrastare l’ascesa al potere di una specie di setta oscurantista guidata da una reincarnazione del diavolo.
In linea generale, è il genere post-apocalittico a fare la differenza. Da piccoli cult d’annata come l’italiano L’ultimo uomo della Terra di Ubaldo Ragona (Vincent Price unico umano sopravvissuto disperso per le architetture razionaliste dell’Eur a Roma) a prodotti più recenti come Io sono leggenda di Francis Lawrence, interpretato da Will Smith. Entrambi sono tratti dal romanzo I Am a Legend di Richard Matheson. Altri titoli come La città verrà distrutta all’alba di Wes Craven (o l’omonimo remake di Breck Eisner), The Road di John Hillcoat (dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy) e tutta la saga – videoludica prima ancora che cinematografica – di Resident Evil stanno vivendo una sorta di seconda giovinezza. Dominano, ovviamente, i film-crossover, specialmente quelli che contaminano l’horror con lo start-up narrativo della pandemia (del genere: virus che trasforma gli uomini in zombi, come nel caso di Resident Evil o dello stesso film di Craven).
Anche se forse il film che più si adatta ai tempi che stiamo vivendo è Cecità di Fernando Meirelles, tratto dall’omonimo romanzo di José Saramago. In questo caso l’epidemia non è mortale ma ha la capacità di privare l’umanità della vista, determinando una regressione della società allo stato tribale. La metafora è sin troppo facilmente leggibile.