Trama: Antropozoologie nasce dall’esigenza del raccontare. Si va da una visione “interna” del mito di Icaro ad una rivisitazione dell’Annunciazione, fino ad arrivare a racconti di fantascienze distopiche. Storie con comune denominatore l’animo umano e le sue debolezze. Il limbo in cui vive e (si) perde l’uomo. Questa raccolta si fa finto e fallace manuale di studio di questa specie a metà.
Eretica Edizioni
Recensione: Antropozoologie è una raccolta di nove racconti in cui si valuta al microscopio l’animo umano smembrato e ridotto a brandelli infinitesimali. Il “pezzettino”, preso come tale, non mostra nulla, ma una volta osservato ingrandito ci appare nella sua interezza, completo, fallace e nitido. Iacovelli è autore di storie brevi, asciutte che in poche pagine congelano il lettore per la loro crudezza. Parte da miti greci, storie bibliche per approdare al mondo di oggi e ripartire attraversando mondi distopici.
Non è un libro da divorare tutto d’un fiato: ogni storia va letta con calma e metabolizzata perché, soprattutto i primi racconti, per la loro crudezza, possono risultare destabilizzanti, disorientanti. Ne è l’esempio lampante La festa dove la morte è vista come premio; o La giostra che analizza l’aborto con una metafora originale e spiazzante. Gli ultimi racconti, invece, si alleggeriscono, mi hanno ricordato lo stile di Stefano Benni che tra un sorriso amaro ed una lacrima mostrano la verità.
Ho trovato lo stile di scrittura di Iacovelli, soprattutto inizialmente, un po’ ridondante, è sicuramente colto e ricercato, ma in alcuni punti appesantisce un po’ la lettura.
Degne di essere menzionate sono le illustrazioni di Eleonora Iacovelli che aprono ogni racconto: un solo disegno riesce a contenere tutta la sostanza narrata.
Un libro non per tutti, non per chi vuole evadere con spensieratezza, non per chi vuole leggerezza, non per chi vuole farsi due risate. Un libro che definirei “ingombrante” anche se con meno di cento pagine, ingombrante perché mentre lo si legge riesce ad infiltrarsi sotto pelle ed occupare qualsiasi pensiero. Una raccolta di racconti potente e devastante ed in certi passaggi dolorosamente vera.
Biagio Iacovelli, classe ’92, è un attore lucano. Ha lasciato la Basilicata per inseguire il sogno del palcoscenico. Dopo aver frequentato la prestigiosa Accademia Teatrale di Roma Sofia Amendolea, ha preso parte a numerosi film e spettacoli, ricevendo il plauso della critica e collaborando, tra gli altri, con Giorgio Albertazzi, Moni Ovadia, Remo Girone e Antonio Catania. Fa parte della compagnia teatrale capitolina I Canisciolti, in scena con “Bunker” e “Sotto il sole l’oscurità”.
INTERVISTA
Antropozoologie. Un titolo singolare, perché questa scelta?
L’idea iniziale era quella di raccontare l’essere umano facendo sempre una similitudine con un animale, come si evince dal titolo “La Gallina che voleva diventare un’Aquila”. Poi il percorso, negli anni, ha deviato il suo cammino, però mi sono accorto che la mia esigenza era sempre quella di raccontare gli uomini sconfitti, l’umanità sconfitta, le pulsioni più basse dell’uomo come specie e, quindi, la sua parte più bestiale. E mi sono detto che il titolo, in qualche modo, era ancora pertinente. E poi mi piaceva l’idea di “nascondere” un po’ il contenuto del libro, dandogli questo titolo da manualistica, quasi scientifico. Un manuale “sbagliato” di un’umanità in ginocchio.
Nove racconti in cinque anni. Come mai così tanto tempo?
I motivi sono fondamentalmente due. Il primo è che, quando scrissi il primo racconto, non avevo alcuna intenzione di scrivere un libro. Erano pensieri che avevo bisogno di riordinare o sensazioni emotive caotiche a cui avevo bisogno di dare forma finita. Tutti questi racconti sono nati con un moto interiore molto intimo, personale. Se non fosse stato per Filippo Gazzaneo, che ha curato le “suggestioni interpretative” ai racconti e che mi ha convinto della bontà del lavoro, probabilmente non avrei mai mandato la mia raccolta a nessuno. Ma anche quando ho iniziato a ragionare in funzione di un’eventuale pubblicazione, la gestazione dei racconti è stata lunghissima. E questo per il secondo motivo: sono convinto, come dice anche il Maestro Moni Ovadia nella prefazione, che viviamo in un paese di migliaia di scrittori e pochissimi lettori; essendo io un lettore iper-critico, ero terrorizzato (e lo sono tutt’ora) dall’idea di mettere in circolazione l’ennesimo libro-spazzatura solo per soddisfare il mio narcisismo di presunto scrittore. E questo ovviamente mi ha creato un blocco spesso insormontabile. Quando si tratta di scrivere sarò sempre infinitamente insicuro.
A quale racconto sei più legato e perché?
Senza alcun dubbio “Il Botanico”, per un fattore prettamente emotivo e personale: è dedicato a una persona molto importante della mia vita che non c’è più e che fa la sua comparsa all’interno del racconto. E’ stato il mio piccolo modo di tenere la sua fiamma ancora accesa.
Una visione un po’ nera della vita. Quanto sei pessimista?
A dire di tutti quelli che mi conoscono, molto. A me piace definirmi realista in un mondo di ottimisti. E, purtroppo quello che vedo attorno a me, quello verso cui stiamo andando come specie umana, non credo possa ispirare sentimenti di grande positività. Eppure, allo stesso tempo, credo sempre nella possibilità del riscatto, del poter tornare sui propri passi e migliorare. Non a caso uno dei miei scrittori preferiti è Hermann Hesse.
Attore e scrittore. Diversi o uguali?
Mi verrebbe da dire che sono due facce uguali di due diverse medaglie appese alla stessa catenina. L’arte, in ogni sua forma, è un veicolo, un momento di condivisione, di contatto immateriale in un mondo che dà sempre più importanza a ciò che è tangibile. L’arte, intesa come processo artistico, crea molta più connessione di qualsiasi forma di digitalizzazione, che lo si faccia recitando per una platea o dalle pagine di un libro.
Progetti per il futuro?
Purtroppo stiamo vivendo una fase storica in cui fare progetti per il futuro è estremamente difficile. Intanto ho quasi ultimato il mio secondo libro, sperando di pubblicarlo quanto prima. Per quanto riguarda il teatro, uno dei settori dal futuro più incerto in questo momento, con la Compagnia con cui lavoro, I Cani Sciolti, siamo in attesa di capire quali saranno precisamente le linee guida per la ripresa. Ma siamo prontissimi a tornare in pista. O meglio, sul palco.