Trama: Benedetta Tale vede cambiare la sua vita in un tranquillo giorno di settembre. Da quel momento percorre un viaggio attraverso luoghi, eventi e personaggi. Va incontro a storie d’Italia e globali, è testimone di passaggi epocali, assassinii di mafia, scoperte geografiche, sofferenze di miti, episodi che si perdono nell’oscurità del passato. Osserva, di persona, l’evolversi di piccole storie personali: inquietudini, amori, passioni, nostalgie. Ascolta due ragazzi, sul ciglio del futuro, discutere di libertà individuale e partecipazione sociale. Lo visita, il futuro: giungendo a scoperte magnifiche, e inaspettatamente inquietanti. Fino a ricevere la visita finale.
Eretica Edizioni
Recensione: Benedetta, in seguito ad un incidente, entra in coma ed inizia un viaggio nel tempo che dura un anno. L’iter la porterà di volta in volta sempre più indietro, incontrerà personaggi storici come Cristoforo Colombo; Lamont Young; Simonetta Lamberti fino ad arrivare all’uomo di Neanderthal, vedrà San Marco in costruzione e, questi scorci daranno vita a racconti per scoprire i segreti, i perchè ed i particolari di grandi vite passate. Per tornare a vivere dovrà affrontare un percorso inverso che la proietterà in un futuro anche molto lontano, distopico, in cui, in alcuni racconti ho riscontrato affinità con il presente, come se Montagnaro avesse previsto ciò che si è vissuto in molte case italiane nel periodo del lock down. Si, perchè bisogna tener conto che Beta è stato finito di stampare nel settembre 2019 e leggere in più di un racconto che nel futuro le lezioni scolastiche si sarebbero svolte in casa propria tramite connessione internet, mi ha subito fatto rivivere la DAD che ha afflitto la maggior parte dei genitori (ed anche figli) italiani. Che sia un tipo di didattica facilmente prevedibile? Montagnaro ci vede lungo? Ho trovato anche molto interessante il racconto in cui si spiega il metodo di scrittura utilizzato da un famosissimo autore del futuro: utilizzare il suggeritore automatico di parole presente su tutte le tastiere dei cellulari.
Una serie di racconti legati da un unico fil rouge che in alcuni punti si divide in più capi andando a riprendere personaggi che l’autore ci aveva già presentato. Ho trovato la maggior parte di tali racconti molto interessante, alcuni veramente toccanti come quello dedicato a Simonetta Lamberti, o gli scenari apocalittici del futuro. Quello che maggiormente risalta è il messaggio: il futuro è oggi e dipende da noi, crescita e cambiamento possono soffocarci. Benedetta, nel suo viaggio, capisce il senso della vita e che le coincidenze non esistono.
Fabio Montagnaro è nato nel 1975 a Castellammare di Stabia. Ha vissuto tra la sua città natale e la penisola sorrentina, prima di trasferirsi a Napoli. Dopo laurea e dottorato di ricerca in Ingegneria Chimica, ha intrapreso la carriera universitaria. È professore in Impianti Chimici all’Università degli Studi di Napoli Federico II. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Dopo Alpha, Beta è la sua seconda opera narrativa.
INTERVISTA
Come nasce “Beta”?
Con l’intenzione di collocare, al centro della scena, un personaggio portante (una ragazza) illuminata solamente a tratti. Di solito il centro della scena è esaltato dalla luce, mentre Benedetta è figura baricentrale ma nascosta, spesso in ombra. Lei fa da filo conduttore, a volte riemerge, altre è silente. “Beta” nasce dal desiderio di non creare una narrazione unica in un preciso contesto spaziale e temporale. Per questo, cioè per poter andare avanti e indietro nel tempo, e nello spazio, era necessario chiedere la disponibilità ad una giovane donna con energia e curiosità, di vivere e di esplorare. Benedetta, classe 2002, ha acconsentito; italiana nata in terra straniera, con il suo nome radicato ma caratterizzato da venature di futuro – insomma, la persona ideale a cui cedere il filo per collegare i diversi racconti sparsi in vari luoghi del tempo.
Benedetta percorre un viaggio nel passato e nel futuro. Come hai deciso i personaggi da “incontrare”?
Sì. Benedetta parte dai suoi tempi e viaggia, prima lentamente, poi velocemente, poi molto velocemente, nel verso passato. C’è un racconto in particolare, “Andy e la libertà – Fine d’una specie” (che tra l’altro è stata la prima parte scritta del libro), che rappresenta una sorta di elastico. Non a caso, è posto alla metà esatta di “Beta”. Arrivata lì, Benedetta torna verso i suoi tempi, e poi va verso un remoto futuro, percorrendo altri luoghi. La protagonista incontra personaggi e vive storie: si tratta in alcuni casi di situazioni realmente esistite (penso ad es. alla tragica “Maledetta primavera – Loving Simonetta” oppure a “Sopra Pizzofalcone – Visionario libero”), in altri di fantasie elaborate nella sua mente (posso ricordare la “Notte pece sbadata – Simbolico a Venezia”, e naturalmente tutto ciò che accade nel futuro). In verità non c’era, preordinata per Benedetta, una lista di eventi da farle vivere. Il filo conduttore di “Beta” è il tempo. Una volta posizionata la collocazione temporale per ciascuno dei ventitré racconti che compongono il libro, sono stati scelti personaggi (attori), luoghi (scenografie) ed eventi (sceneggiature) non necessariamente rilevanti nel corso della Storia (e, come detto, a volte neanche reali), ma venuti a galla come spinti da una particolare forza archimedea, cioè il desiderio di esprimere i concetti-chiave che sono presenti in “Beta”.
In alcuni racconti si parla di “didattica a distanza”. La DAD è stata inserita nel periodo del lock down, il tuo libro è antecedente, hai precorso i tempi?
Ci sono alcuni racconti, nella sezione “futuro” del libro, dove lo sguardo del lettore è invitato verso F., una ragazza dei suoi tempi. Ci si concentra molto sul luogo dove abita, sulla struttura della sua città, e sul modo in cui F. segue le lezioni scolastiche (naturalmente, da casa mediante strumenti telematici che solo per semplicità possiamo chiamare “computer del futuro”). “Beta” è stato scritto nel corso dell’anno 2018, finito in novembre. Poi l’inchiostro (informatico) è stato lasciato sedimentare per qualche mese, e a partire da gennaio 2019 mi sono messo alla ricerca di un editore. Ho trovato in Giordano Criscuolo (Eretica Edizioni), che ringrazio per la sua grande professionalità, un’attenzione particolare al senso reale di ciò che “Beta” voleva raccontare, e abbiamo lavorato in estate per rifinire il tutto. A settembre del ’19, “Beta” veniva pubblicato. Nessun sentore, quindi, di pandemie e cose simili. Certamente, quando la didattica a distanza è stata adottata durante questa primavera, ho sorriso pensando “forse il futuro che visita la visionaria Benedetta…non è poi così futuro”.
Con “Beta” hai voluto dare una visione personale di ciò che i cambiamenti della vita possono comportare?
Domanda particolarmente complessa e raffinata, Cristiana. Capita una cosa forse non molto originale, ma devo dire che dentro di me è spinta verso l’estremo. Quando qualcosa che scrivo viene pubblicata (mi riferisco anche a ciò che scrivo per lavoro, cioè articoli di natura scientifica), immediatamente tendo ad allontanarmi da quelle parole. Non è che le disconosca, anzi: è che inizio a diventare osservatore esterno, per rileggere in controluce senza il filtro mentale di chi ha scritto. Quindi, non saprei rispondere bene alla domanda “che visione hai voluto dare”. Però posso rispondere alla domanda, inclusa nella tua, “che visione ti sembra che venga data”. Ecco, leggendo “Beta” dall’esterno, credo che un concetto-chiave sia lo smascheramento del mito della “secolarizzazione” (in senso largo). I cambiamenti di usi, costumi, linguaggi, nel corso dei secoli (millenni), chiaramente innegabili nel loro effetto (siamo diversi dagli uomini delle caverne, e non conosciamo la Moneta Unica Virtuale, le macchine volanti “fly”, il social NetSense o il sistema DomoSystem per la gestione della casa, solo per fare alcuni esempi di ciò che si incontra nel futuro di “Beta”), non sembrano cambiare di molto le dinamiche sociali che regolano l’agire (“gli eventi sono semplici, le sovrastrutture li rendono inutilmente intricati”, scrive a un certo punto il narratore). Ecco, questo credo che emerga dal filo che lega i racconti, a leggere bene. Ripeto, però, che sono le parole di un lettore particolare. Altri lettori, inviandomi i loro pareri, mi hanno fatto notare cose diverse, che evidentemente sono venute fuori in modo inconscio mentre scrivevo – capita, in effetti, di rileggere pensando: “l’ho scritto io?”. Tornando infine al destino personale di Benedetta, c’è comunque da dire che “Beta” è stato anche mosso dalla forza di vivere, sotto qualsiasi forma la vita possa essere pensata. Anche in un chiaroscuro di momenti felici e dolori.
Ogni periodo si conclude con una poesia/canzone. Raccontaci perché.
I ventitré racconti sono intervallati da sette “racconti in versi” (di cui due in lingua inglese), che ho troppo pudore per definire poesie, ma che con grande gioia accolgo che vengano riconosciute come “canzoni”, ti ringrazio. Lo sono, in effetti. Manca loro la partitura musicale, ma potrebbero essere cantate sulla base di musiche di canzoni più o meno note. Nella “Odissea” di Kubrick, la scimmia lancia in alto il suo strumento primitivo che poi diventa, in uno degli stacchi più famosi della storia del cinema, una navicella spaziale, e così si cambia ambientazione temporale. In “Beta”, si cerca invece di volta in volta una canzone che, musicalmente, visivamente, faccia da “stacco” tra le epoche che Benedetta visita. Ma non si nasconde anche un effetto didascalico: il testo delle canzoni prova a riassumere qualcosa di ciò che il lettore ha visto/letto prima, e anticipare ciò che verrà dopo. È una carezza fatta al lettore (e quindi anche a me stesso, a partire dal minuto dopo rispetto alla pubblicazione), per orientarlo nel libro, non trattandosi di un giallo. Infine, noto che c’è anche un certo “gioco”, da parte di chi legge, a provare ad individuare sopra quale fraseggio musicale sono stati scritti i sette testi. Per ciascuno, c’è in realtà una canzone corrispondente il cui testo originale è stato, nella metrica, il più possibile fedelmente rispettato. In alcuni casi ho ricevuto le risposte giuste.
Il tuo primo libro si intitola “Alpha”, questo “Beta”. Come mai questi titoli in serie?
“Alpha”, di cui qui non parlerò molto per non dilungarmi, è stato il mio primo libro non scientifico. Il titolo, nella mia mente, era dall’inizio stato quello, trattandosi del primo. E, inoltre, la parola “Alpha” ha un legame stretto con ciò di cui lì si parla. Quando ho scritto “Beta”, mi sono reso conto che venivano sviluppati, probabilmente in modo più organico, anche diversi concetti accennati in “Alpha”. Quindi, in realtà ho capito che ciò che stavo scrivendo poteva essere visto come una evoluzione di “Alpha”, e da qui il titolo, che anche in questo caso ha un diretto legame con ciò che si narra. Vorrei però dire che non si tratta di due libri consequenziali: “Beta” può certamente essere letto senza conoscere “Alpha”, così come “Alpha”, pur lasciando domande sospese, non trova le sue risposte in “Beta”.
Ci sarà anche “Gamma”?
Cristiana, effettivamente bisognerebbe rispondere a questo punto di sì, cioè che è necessario un terzo libro che, con tutta altra ambientazione e struttura, tiri le somme dei primi due e illumini gli angoli nascosti. Spero di trovare il tempo per rifinirlo, ed editori disposti a valutarlo.