Esiste un detto popolare secondo il quale “L’Epifania ogni festa porta via”. Ebbene, si tratta di una massima semplice, la quale, ogni anno, balza di bocca in bocca, accompagnata da un velo di malinconia, dopo il 6 gennaio. A dire il vero, però, nel nostro Paese, sono presenti ampie realtà territoriali dove, a quella sottile malinconia post-festa, si aggiunge anche un vero e proprio dolore. È quell’amarezza legata alle ripartenze, dopo le ferie natalizie, di intere generazioni, dei nostri fratelli, dei nostri figli, dei nostri cari verso le città del Nord o dell’estero. Perché, per quanti non se ne fossero ancora accorti, al Sud, l’Epifania non porta via solo le feste, ma anche centinaia, migliaia di giovani. Negli ultimi giorni, in rete, è circolata un’immagine per certi versi tremenda – che probabilmente in tanti hanno avuto modo di osservare – ovvero quella del terminal bus di Cosenza pieno di autobus stracolmi di ragazzi pronti per partire alla volta di altre regioni. Peraltro, come si può facilmente evincere, tutti costretti a spostarsi su gomma, dato che, anche sul piano ferroviario, l’Italia viaggia a due velocità.
Del resto, come potrebbe essere altrimenti? I dati sulla disoccupazione, nel Mezzogiorno, continuano ad essere allarmanti, soprattutto per quanto riguarda i minori di trent’anni e le donne. I numeri sull’impiego lavorativo femminile nel Meridione, ad esempio, raffrontati con quelli del Settentrione tracciano uno scenario alquanto impietoso ed iniquo.
Non serve, in questa sede, aprire un’amara digressione sul come la cosiddetta Questione meridionale non sia mai terminata, o meglio non sia mai stata degnamente affrontata da nessuna delle classi politiche alternatesi negli ultimi decenni, o addirittura nell’ultimo secolo e mezzo, le quali, anzi, hanno piuttosto agito in senso opposto. D’altronde, le conseguenze di un Paese praticamente ancora diviso sono palesi ai più e in tanti le viviamo sulla pelle. Probabilmente, invece, è più opportuno stimolare, attraverso i nostri articoli e nel nostro piccolo, la riscoperta di un orgoglio, di un attaccamento identitario, a maggior ragione in vista delle prossime votazioni.
Bisogna ammettere, in verità, che, negli ultimi anni, una nuova forma di meridionalismo sta prendendo sempre più piede, grazie principalmente ad un rinnovato approccio storico e culturale, il quale riesce, dopo moltissimo tempo, ad essere finalmente scevro da pregiudizi e preconcetti. Ed è, allora, in tale ordine di idee che anche noi vogliamo inserirci. La Storia, invero, può essere l’unica vera base programmatica per porre le fondamenta utili a reggere un movimento politico di pensiero e di persone; la nostra Storia, dunque, deve essere un perno, un pungolo per ripartire da noi stessi e non per terre lontane.
Proprio a tal proposito, avendo fatto riferimento all’emergenza della disoccupazione femminile al Sud, vogliamo pertanto qui ricordare quelle che furono le brigantesse. Con la premessa che si trattò certamente di un fenomeno di particolare complessità – il quale ancora oggi anima e fa discutere gli storici -, il brigantaggio, a dispetto di quanti lo hanno associato solo ed esclusivamente ad un’espressione delinquenziale, rappresentò, a ben guardare, soprattutto una tenace forma di ribellione verso quello che era considerato l’invasore, oltre che di difesa nei confronti della propria terra e della propria gente. Ed ovviamente, come si diceva, anche se in pochi ne hanno fatto o ne fanno riferimento, all’interno di esso, il ruolo della donna fu centrale, un po’ come per la Resistenza antifascista. In questo senso, un caso particolarmente importante fu quello di Michelina Di Cesare, la quale, nata in un paesino della Terra di Lavoro ( oggi provincia di Caserta), si distinse come una vera guerriera, pronta a lottare coraggiosamente con le armi al pari degli uomini, e che, proprio per il suo ideale di giustizia, fu barbaramente uccisa.
In conclusione, lungi dal voler prospettare o avanzare proposte anacronistiche di secessione, oppure aspre e deleterie contrapposizioni, il nostro auspicio più vero, tramite l’esercizio del ricordo e della memoria storica, è quello che magari, anche oggi e per il nostro triste presente, la donna – da sempre bistrattata, nella nostra società ancora troppo maschlista, sul piano dei diritti, del lavoro e non solo – possa scoprirsi capace di rendersi protagonista e parte attiva, come più volte nel passato, delle nuove frontiere del meridionalismo, di una rivoluzione, di una ventata di uguaglianza che soffi forte da qui, da queste nostre terre che urlano da troppi anni e che troppe volte sono costrette a vedersi abbandonate.