Signore e signori, ecco a voi un bel “Murder Mistery”, condotto da un cast super e visibilmente motivato, laddove gli attori, nei rispettivi ruoli, ci danno dentro di brutto.
Rispetto al quasi omonimo (nel titolo italiano) ”Invito a cena con delitto” del 1976 – che seppelliva, nel regno dell’assurdo il cadavere del protagonista assoluta, qui abbiamo una banda di scanzonati ipocriti che fanno celere rotta a casa Thrombey, dando luogo a un intrigante e funzionale intreccio di circostanze e situazioni, capaci di attirare l’attenzione sul singolo dettaglio. È come se lo spettatore si ritrovasse, già dopo pochi minuti, con una piccola lente di ingrandimento, che non vede l’ora di usare con il trascorrere dei minuti.
Si percepisce sin da subito il desiderio di un trastullo di tipo “elevato” alla base della sceneggiatura di ‘Cena con Delitto’: del resto, al contempo si denota un’ottima lena nel voler offrire una convincente rivisitazione di un giallo vecchio stile – scuola Agatha Christie – in cui il filo conduttore tra l’esigenza di promozione della pellicola può giovarsi a piene mani di un comparto attori davvero notevole e che, a mio parere, sono stati i primi a divertirsi, mettendo in campo un apprezzabilissimo lavoro collettivo. Che vi siano meriti da imputare direttamente a Rian Johnson pare aspetto innegabile.
Harlan Thrombey non era un uomo qualunque. E di certo si teneva impegnato. Romanziere, editore e carismatico patriarca di una famiglia bislacca e allargata, si ritrova a passare a miglior vita. La salma, con la gola tagliata, apparente frutto di un suicidio, viene rinvenuto dalla giovane cameriera Marta la mattina successiva a una pomposa festa di compleanno per i suoi 85 anni.
La lussuosa villa di campagna del defunto Thrombey viene raggiunta da uno stuolo di persone che vogliono vederci chiaro: due ispettori di polizia, l’investigatore privato Benoit Blanc, i familiari del ricco imprenditore, capitanati dalla nuora Joni e dai figli Walter e Linda.
Ognuno ambisce alla ricchissima eredità, e un’indagine che gratta sotto la superficie degli eventi, pone in rilievo la circostanza che lo sgomento per la perdita cede rapidamente il passo al pregiudizio e al calcolo freddo e razionale.
Stritolato, fino al rocambolesco, dal meccanismo dell’intrattenimento globale per non aver osato più di tanto con il suo ‘Star Wars: Episodio VIII – Gli ultimi Jedi’, Rian Johnson trova in Cena con Delitto la possibilità di lasciarsi andare al dolce riverbero del divertimento assicurato, effettuando un upgrade del genere mistery, elevandolo da retrò a marcatamente contemporaneo.
Rituffandosi nel passato, non per uccidere se stesso come in ‘Looper‘, ma per riassaporare l’ebbrezza dei primi tempi, capace di indurlo alla sperimentazione continua delle norme del narrato spinto, Johnson va si trova a dimorare come un bimbo curioso “in un tabellone di Cluedo”. Al pari, peraltro, del sempiterno Christopher Plummer, al contempo padre attento e birbanteggiante narratore birichino, comunque abile nell’esercizio monocratico di un controllo assoluto tanto della sua storia quanto di quella di tutti gli altri.
Ciò che rotola fuori dalla scatola del gioco da tavolo non cambia mai: in questo caso una villa isolata piena di trucchi, un delitto, un detective e un gruppo di sospettati che si accusa a vicenda.
Daniel Craig sfodera un suadente accento del meridione, al tempo stesso buttando coriandoli di buffa goffaggine intorno al suo personaggio, indagatore arguto ma talvolta sbadato fino al bizzarro. In ciò, è ben coadiuvato dalla genuina interpretazione di Ana de Armas, piacevole e forse inaspettata nota di colore nel contesto.
E se lo spazio dato al personaggio della giovane cubana pare compromettere la validità dell’iniziale intento di focalizzare il tutto intorno alla celebrità e il virtuosismo del resto del cast, tale è proprio il commento del regista, che storna dal piatto l’usurato concetto di prelazione automatica in favore dei bianchi d’America, in favore della ragazza di famiglia immigrata.
Più di un semplice omaggio progressista, il livore un po’ sprecato dei vari Jamie Lee Curtis, Michael Shannon e Toni Collette è significativo all’interno di un genere da sempre inscindibile dalla sua venatura upper-class.
Johnson ne fa discernimento da una posizione più attuale, adagiandosi scaltramente su consolidate sequenze di genere e su flashback irresistibili, come quelli che i protagonisti stessi possono avvertire in corrispondenza di una dozzina di colpi di scena, fra i quali vanno ad annoverarsi alcuni davvero “esotici”. Magari accanto al consolante fuoco di un camino.