Quando si apprende una notizia che mette in luce episodi di criminalità che si ripercuotono, in un modo o nell’altro, su tutta la collettività, certamente, l’amarezza è tanta. Se poi aggiungiamo, come nel caso che stiamo per trattare, che i crimini sono stati commessi da chi dovrebbe tutelare la nostra sicurezza e il rispetto delle leggi, allora, il senso di amaro, inevitabilmente, si moltiplica. Siamo abituati ad immaginare gli uomini in divisa come esempi di integrità ma, purtroppo, a volte, anche tra di loro si annidano personalità sprezzanti del bene comune.
Come emerso nelle scorse ore, infatti, a seguito di un’indagine diretta dalla Procura distrettuale antimafia di Napoli e condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Castello di Cisterna, cinque militari sono stati arrestati, mentre altri tre sono stati sospesi dalle funzioni di pubblici ufficiali. Coinvolto è anche l’ex presidente del Consiglio Comunale di Sant’Antimo, tale Di Lorenzo. Le accuse vanno dalla corruzione all’omissione di pubblico servizio e rivelazione di segreti, mentre resta escluso, per il momento, il concorso esterno in associazione mafiosa, sebbene i soggetti interessati siano indagati pure per questo reato. L’inchiesta è partita in conseguenza delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e gli organi inquirenti hanno pertanto individuato un sistema di connivenza da parte di alcuni agenti in servizio a Sant’Antimo con la criminalità organizzata. Decisiva è stata anche l’intercettazione, tramite una “cimice” apposta sulla loro auto, di una conversazione compromettente tra due indagati.
A quanto pare, quindi, i carabinieri in questione avrebbero fornito a membri del clan Puca importanti informazioni circa operazioni di controllo sul territorio (il capo-clan Puca, attualmente, si trova al 41 bis). In questa situazione scandalosa, tuttavia, una grande nota di merito va espressa nei confronti del maresciallo della stazione di Sant’Antimo, il quale si è impegnato per far venir fuori quanto di illegale si stava cosumando. Egli è stato persino pedinato allo scopo di raccogliere dati sensibili sul suo conto in modo da minacciarlo e farlo tacere, ma la cosa più grave è stata la bomba carta fatta esplodere sotto la sua macchina come gesto intimidatorio. A seguito di ciò, chiaramente, è stato disposto il suo trasferimento in altra sede, per salvaguardare la sua incolumità.
Notizie di questo genere, dunque, ci portano a constatare, in maniera drammatica, quanto il malaffare, nel nostro Paese, riesca ad insinuarsi a tutti i livelli, addirittura quelli delle forze dell’ordine. Sicuramente, però, va al tempo stesso sottolineato che quando si verificano questi casi ci troviamo dinanzi alle cosiddette “mele marce” e non si può gettare un’ombra sull’intera Arma dei carabinieri, la quale è di vitale importanza per tutta la cittadinanza. In tal senso si sono mosse le parole del procuratore Giovanni Melillo, il quale ha dichiarato: «non c’è alcun bisogno che io ribadisca la fiducia che abbiamo nei carabinieri, visto che le indagini abbiamo voluto affidarle a loro». Anche il comandante provinciale, Giuseppe Canio La Gala, si è espresso, evidenziando che: «la presunta attività illecita non ha assolutamente inficiato l’intensa attività di contrasto alla criminalità organizzata svolta negli anni dall’Arma e non può offuscare l’impegno profuso tutti i giorni da tantissimi carabinieri che si sacrificano con abnegazione».