Proiettili e battute di pessimo gusto sfrecciano per il film come se sparate da cinque M-16. Fiumi di sangue e arti mozzati volano un po’ ovunque dall’inizio alla fine. E nonostante tutto la cosa che si spezzerà di più è il vostro cuore. Il secondo episodio dell’antieroe Marvel (che rompe tutti gli schemi del franchising pur essendo uno dei suoi rappresentanti migliori) Deadpool si rivela ancora più magnetico e divertente del precedente, che riesce a inserire il comic dei comic-book nel Marvel Cinematic Universe senza la plasticità degli altri film.
Wade Wilson AKA Deadpool (Ryan Reynolds) dopo essersi riunito con l’amore della sua vita Vanessa (Morena Baccarin) e dopo una sfortunata tragedia inizia una ricerca alla ricerca di sé stesso e del suo posto. Dopo aver provato gli X-Men, trova la sua strada difendendo un ragazzino mutante di nome Russel (Julian Dennison) da Cable (Josh Brolin, che recita anche Thanos in Avengers 2, come Deadpool sottolinea) un viaggiatore nel tempo tornato per vendicarsi della morte della sua famiglia, uccisa da Firefist, il villain che questo ragazzino rischia di diventare. In questo cammino Deadpool dovrà scegliere il tipo di eroe e il tipo di persona che vuole essere.
Ed è questa scelta il nucleo del film: Deadpool si ritrova costretto tra due forze, è devastato di nuovo dalla sofferenza e dalla voglia di vendicarsi (un po’ il leitmotiv di questo personaggio, che se non fosse un personaggio del MCU etichetterei senza spessore) ma è anche intrinsecamente buono, seppur con un senso della morale molto fuori dalle righe e a volte questionabile. E si ritrova spinto in questa bontà, forzato a trovare una sua dimensione. Questo sforzo è ciò che dà succo al carattere dell’antieroe, questa spinta verso il bene che viene ostacolata dal suo passato, da una parte di sé e dal suo pragmatismo radicale.
E il motivo di questa scelta riflette l’intraprendenza degli sceneggiatori Rhett Reese e Paul Wernick, aiutati da Reynolds stesso (che sospetto essere lo zampino dietro tutte le battute sulla relazione attore-personaggio), che hanno deciso di fare uno dei film più drammatici del franchising esattamente col personaggio meno drammatico, creando una miscela all’inizio imbarazzante (i titoli di apertura ne sono l’esempio lampante) ma che man mano che si avanza nella pellicola si dimostra essere una miscela vincente.