E’ ormai iniziato da qualche settimana il raccolto di uno dei frutti più noti che precedono il periodo natalizio, la castagna. Meno risaputa è la storia che aleggia su questo nutriente quanto preziosissimo prodotto. Fin dagli albori dell’umanità il castagno era presente allo stato selvaggio nella zona mediterranea. Gli uomini delle caverne si sono sempre cibati di questo frutto, sin da quando l’agricoltura non era ancora una pratica conosciuta. Difatti, sono stati ritrovati resti fossili risalenti a 20.000 anni fa. Secondo la letteratura latina, il castagno è originario di Sardi, città della Lidia (Turchia). Ciononostante, la coltivazione del castagno oggi si distingue per il raccolto effettuato in Campania, nell’area di Montella, in provincia di Avellino, cominciata nel periodo compreso fra il VI e il V secolo a.C., e soprattutto per la tradizione culinaria che si protrae fino ad oggi. Il più importante epigrammista in lingua latina, Marco Valerio Marziale, affermerà più tardi, intorno al I secolo d.C., che nessuna città poteva gareggiare con Napoli nell’arrostire questo frutto. Successivamente, per l’importanza che si attribuì al castagno, particolarmente apprezzato sin dalle origini, nel 571 d.C. al tempo dei Longobardi è stata emanata una legge per la tutela della coltivazione del castagno considerato una preziosa risorsa. Lo storico del tempo, Franciosa, conferma tale rilevanza sottolineando il valore strategico delle castagne negli assedi delle città e dei castelli. La farina, avendo il pregio di conservarsi per molti anni, era infatti stipata nelle fortezze come riserva di cibo. Il castagno è stato fonte di ricchezza non solo per l’utilizzo impiegato nell’ambito culinario, ma anche per essere stato il principale strumento per le costruzioni in legno, tanto che durante l’Impero Romano il ceduo risultava una coltura complementare alla viticoltura, oltre che come primario combustibile. In particolare, affascina come a livello culinario si possano ritrovare una serie di ricette che hanno origine fin dai tempi remoti. Gli Ellenici coltivavano le castagne per cucinarle secondo modi diversi, come il pane nero di Sparta e minestre varie. I latini cuocevano le castagne sulla fiamma diretta, sotto la cenere, nel latte, o come suggeriva Marco Gavio Apicio, un noto gastronomo della Antica Roma, al tegame con spezie, erbe aromatiche, aceto e miele. Qui di seguito, è possibile riconoscere una antica ricetta etrusco-romana entrata ormai a far parte della tradizione culinaria come ricetta semplice ma estremamente gustosa.
Ingredienti:
castagne,
finocchietto selvatico o foglie di alloro
sale
miele
Preparazione:
Per ogni chilo di castagne versare tre litri di acqua e un cucchiaino di sale. Unire una foglia di alloro o del finocchietto selvatico. Immergere le castagne in acqua, dopo averle accuratamente lavate, e praticare un taglietto su ognuna di esse. Cuocere le castagne per circa 50 minuti. Una volta lesse, sbucciare e irrorare le castagne con del miele.
Tuttavia, durante il Medioevo le castagne non furono un frutto molto usato nei menu di corte. Infatti, nel corso del secolo si affermò il mestiere dei “castagnatores”, vale a dire contadini esperti nella raccolta e nella lavorazione di questo prodotto, in seguito agli ordini monastici che richiesero un miglioramento nella coltivazione, conservazione e trasformazione delle castagne. Fu così che le castagne divennero l’alimento principale delle genti di montagna, identificato prettamente come un cibo plebeo. Fu probabilmente per questi motivi che nel XllI sec. iniziò a diffondersi il termine “marrone” per indicare le qualità eccellenti, più grosse e preziose, meglio adatte ad un consumo elitario. Nel Settecento illuminista il marrone riscosse grande favore presso le classi alte, ma donare ad una signora grosse castagne confezionate in dolcetti glassati (marrons glaces ) poteva alludere a maliziosi significati. Va precisato, infatti, che a partire dal Medioevo furono attribuite al castagno qualità afrodisiache. La coltivazione del castagno resta una delle tante principali risorse italiane, non solo in campo economico, ma soprattutto per la sua rilevanza storica che ha permesso una decisiva applicazione delle conoscenze agronomiche del prodotto e, in più, ne ha designato l’utilizzo in campo culinario.