Il suo nome era guerra: con un titolo epico e roboante si presenta il decimo tassello del Ciclo della Meteora sulla serie regolare dedicata all’Indagatore dell’incubo.
L’albo N° 396 fa il botto in tutti i sensi, offrendo una storia che parla di crudeltà e di tramonto della civiltà, ed è sceneggiato da Giovanni Eccher, autore che aveva già debuttato sulla serie regolare con l’interessante ed insolito Tripofobia e che dimostra una certa familiarità con le storie che coinvolgono i disturbi della psiche.
Cercheremo di limitare al minimo gli spoiler più clamorosi, ma suggeriamo comunque a chi non ha letto ancora l’albo in questione di saltare per intero il paragrafo al di sotto della tavola estratta che qui proponiamo!
In questa circostanza Eccher ci introduce al tema della Sindrome da stress post traumatico che tanti reduci e veterani di guerra patiscono con conseguenze emotivamente devastanti, e ci propone una meditazione anche abbastanza cruda su quanto sia labile il confine tra follia e ragione, tra violenza di branco e lucidità. Analizzando le vittime della Sindrome, l’autore trova il modo per scavare nel passato dell’ispettore Tyron Carpenter, figura che viene finalmente proposta mostrandone un lato umano e per certi versi debole, incerto.
Proprio l’ispettore è il perno attorno al quale ruota una vicenda composta da episodi di violenza incontrollata a ripetizione scatenati dall’approssimarsi della Meteora e dalla sua potenza nel risvegliare un simbolo inquietante che Carpenter e alcuni suoi commilitoni hanno voluto tatuare sulla loro pelle, un po’ per gioco un po’ per spirito cameratesco, dopo una missione in Iraq.
In chi ha quel tatuaggio inciso sulla pelle scatta una inspiegabile follia omicida che si scoprirà (grazie a Lord Wells, che bello ritrovarlo con regolarità!) essere ispirata da Ninurta, dio del Caos… elemento del quale, guarda le combinazioni, anche la Meteora è portavoce. Tutto torna quindi, e spetta a Dylan costringere Carpenter in condizione da non poter fare più danni e spegnere in lui il malefico influsso, ma con un colpo di scena finale assolutamente spiazzante che non mancherà di avere le sue ripercussioni negli albi a venire.
La sceneggiatura scorre in maniera abbastanza classica ed è ben misurata nella sua fluidità, con dialoghi ottimamente calibrati a fare da supporto a situazioni estreme nelle quali ritroviamo il gusto per lo splatter vecchia maniera ma anche alcune scene di violenza molto forti: sono tutte motivazioni che ci costringono a non considerare questo tassello del Ciclo della Meteora un albo qualsiasi, ma anzi uno tra quelli fino ad ora pubblicati più coerente con il senso di totale degenerazione verso la quale il mondo in cui si muove l’inquilino di Craven Road 7 si sta incamminando.
Possiamo dire che con gli spoiler abbiamo finito!
Il suo nome era guerra riesce ad inserirsi ed integrarsi in maniera omogenea nel ciclo di cui viene proclamata la stretta continuity, caratteristica che per qualche tratto della sequenza ha lasciato delle perplessità perché, escludendo alcune tavole introduttive e conclusive da alcuni albi, la sensazione percepita è stata alle volte di storie quasi “a sé stanti”. In questa circostanza abbiamo ad esempio apprezzato la comparsa in scena a sorpresa ed inattesa di un John Ghost sbucato fuori quasi dal nulla, con tutti i risvolti che il dialogo avuto con Dylan e la successiva sovrapposizione con Groucho hanno comportato.
Se quella in arrivo con l’impatto della Meteora è davvero l’Apocalisse, non si può rimproverare di certo agli autori di sfruttare inevitabili icone impresse nell’immaginario collettivo e ad essa associate come i 4 famigerati suoi emissari: Guerra, Pestilenza, Carestia, Morte.
Quattro cavalieri, quattro temi tra i quali il primo è trattato in questo albo ma era già comparso, come ricorderà chi ha letto Del tempo e di altre illusioni; in il secondo sarà probabilmente tema portante del prossimo albo (il titolo Morbo M ci sembra un indizio da non sottovalutare…); Morte è già apparsa di recente sempre nell’albo 395 mentre Carestia sembra attraversare un po’ tutta la continuity, con il mercato nero dei generi di prima necessità.
A margine, se proprio vogliamo scavare nei dettagli e trovare dei veri difetti, siamo pronti a scatenare il più classico dei “nun ce rompete” dei redazionali vecchio stile. Passino gli errori di font in tipografia causati dalla stampa digitale riscontrati in un paio di precedenti albi, ma alcuni difetti di punteggiatura o di inversione di caratteri nel lettering come trovati in questo numero 396 lasciano un po’ interdetti, pur non togliendo nulla al valore complessivo dell’opera in sé.
Ai pennelli i lettori che conoscono Dylan Dog fin dagli esordi trovano un graditissimo ritorno dopo una lunga pausa: Luigi Siniscalchi, esponente di massimo rilievo della cosiddetta Scuola salernitana del fumetto, mancava dalla serie regolare addirittura dal 1996, pur avendo fatto una “comparsata” collaborando alla stesura delle tavole di una storia del Maxi Dylan Dog Old Boy 35 dello scorso febbraio.
Chi ricordava il tratto chiarissimo e netto del “Sinis” si è forse trovato spiazzato perché nella sua personale evoluzione artistica l’autore ha adesso acquisito un segno più nervoso e in alcuni passaggi più “carico” e denso. C’è una ovvia continuità di stile che un occhio attento è di certo capace di riconoscere, per un’eleganza del tutto appropriata alla storia qui narrata e con una gabbia bonelliana utilizzata secondo i crismi più funzionali alle diverse scene di azione, specie quando montata in vignette a taglio orizzontale. Alcuni volti dei personaggi al culmine della tensione sembrano quasi emergere dalle pagine con le loro espressioni contratte e al limite del grottesco, come nella sequenza della “possessione” di Carpenter o nell’unica icastica splash page a fine albo, la cui efficacia rappresentativa degli orrori della guerra (da qualsiasi parte la si affronti) emerge con qualità da manuale del fumetto.
Tutte le ultime 4 tavole mute hanno un taglio che definiamo cinematografico, con la citata splash page inserita tra una lunga sequenza di vignette orizzontali memorabili.
Il copertinista Gigi Cavenago da par suo non ha voluto essere da meno ed ha piazzato un angosciato Old boy al centro di un patchwork di orrori bellici. Dylan esce fuori dall’illustrazione con atteggiamento straziato, tutt’attorno a lui l’umanità è in sfacelo, il suo sguardo sembra essere puntato sulla responsabile: la Meteora, che con una trovata ingegnosa questa volta fa capolino dallo schermo di uno smartphone Ghost 9000.
L’appuntamento è adesso con la recensione dell’albo che, già in edicola da alcuni giorni, ha portato il countdown a -3: come detto, il suo titolo è Morbo M, e ve ne parleremo presto!
uscita: 31/08/2019
Formato: 16×21 cm, b/n
Pagine: 96
Soggetto: Giovanni Eccher
Sceneggiatura: Giovanni Eccher
Disegni: Luigi Siniscalchi
Copertina: Gigi Cavenago