Nel primo capitolo di uno dei miei film preferiti, “Ritorno al Futuro”, c’è una simpatica scena in cui il protagonista Marty McFly, teenager degli anni ’80 finito indietro nel tempo fino al 1955, afferma con grande naturalezza che in casa sua ci sono ben due televisori. I bimbi che lo stanno ascoltando sgranano gli occhi per la sorpresa, mentre gli adulti presenti scoppiano in una risata fragorosa: Marty sta certamente scherzando. Nessuno, dicono, possiede due televisori.
In effetti il televisore è stato per almeno due decenni e mezzo dal suo arrivo nelle case un “mobile” da salotto a gestione familiare e collettiva. Spesso, nei racconti dei miei genitori si narra di persone che, con tanto di sedie personali al seguito, si spostavano da un’abitazione all’altra per poter assaporare l’esperienza di guardare dentro quella scatola magica.
Altri tempi. Ma nell’America di inizio anni ’80 le cose stanno molto diversamente e il McFly di Ritorno al Futuro certo non mentiva.
Qui a New York, ad esempio, si potrebbe quasi sostenere l’equazione per la quale ad ogni camera in casa corrisponde un apparecchio televisivo.
“Capisci cosa vuol dire? Che ormai ogni ragazzo nella sua cameretta sceglie da solo cosa vuole vedere. Non c’è più papà col telecomando in mano che pigia su off e ti manda a letto. Nessuno è più costretto a guardare i noiosissimi programmi scelti dalla nonna. Lo capisci o no, che questo può essere un grande affare?”
Sicuramente grazie al sistema via cavo, che ha risolto molti dei grossi problemi relativi alla trasmissione delle immagini, i commercianti di televisori stanno facendo grandi affari, questo mi è chiaro. Ma non capisco esattamente dove vuole arrivare Warren Pittman. L’ho conosciuto qualche giorno fa passeggiando per la Grande Mela. É un ragazzo pieno di interessi, sta prendendo il brevetto da pilota di aerei ed è un grande conoscitore di musica. Viene dal lontano Mississipi e fa lo speaker radiofonico da quando aveva 15 anni. Il giovane continua nella sua spiegazione.
“Il pubblico sta cambiando, sono nate fette di mercato nuove. Se riesco, con la musica, ad elaborare la proposta giusta, è fatta!”
Cerco di riportare Warren coi piedi per terra, come fa a non sapere che la musica viene trasmessa ovunque in radio e nei grandi show televisivi?
“Certo amico. Ma quale musica? Siamo a New York, c’è il mondo là fuori! Ci sono decine di sottoculture e generi musicali nuovi e insieme a questi sai cosa c’è? Un grande pubblico che non è ancora rappresentato da nessuno. E io credo che con questa roba ci si possa fare un bel po’ di soldi.”
Di sicuro quella con Warren è una chiacchierata ricca di spunti interessanti. Io intanto, forte delle potenzialità della mia Macchina del Tempo, ho deciso di trattenermi per tutta l’estate a New York.
È appena scoccata la mezzanotte del 1 agosto 1981. Ho passato la serata con la compagnia gradevole di qualche nuovo amico appassionato di musica, parlando della nuova ondata di pop britannico che sta investendo gli Stati Uniti. Spandau Ballet e Duran Duran dividono in fazioni le ragazzine anche quaggiù. Ma c’è anche la musica straniante dei Devo o il fenomeno in travolgente ascesa della carriera da solista di Michael Jackson. Sembra un momento ricco di fermento, il panorama musicale è vasto e, soprattutto, variegatissimo.
Ad un tratto, la novità. Uno dei miei amici accende il televisore e di colpo siamo tutti muti davanti alle immagini dello Shuttle che decolla verso la luna. Poi le parole “Signore e Signori, Rock’n’roll!”. Pochi istanti dopo, le immagini dell’astronauta che pianta la bandiera sul suolo lunare. Non è una bandiera americana, su quel vessillo spicca un disegno dai colori sgargianti con la scritta MTV.
É nato il canale della Music TeleVision e il mio pensiero vola subito alla chiacchierata di qualche tempo fa con Warren Pittman.
Alle immagini spaziali che presentano il momento come un evento di portata storica, segue immediatamente il clip di Video Killed The Radio Star, il famoso pezzo dei Buggles. Il testo, la storia di una star della radio caduta in rovina con l’avvento della musica da vedere, è praticamente il manifesto del nuovo canale. La ascoltiamo tutti in religioso silenzio, rapiti dalle immagini che amplificano oltremodo il messaggio, mostrando le esplosioni di alcuni apparecchi radio.
Devo riconoscere che l’intuizione di Pittman è stata geniale.
Non solo in poco tempo MTV sarà il primo network via cavo a fare profitto, ma quella sorta di Juke-box televisivo influenzerà e plasmerà in maniera duratura tutta l’industria musicale e dunque anche il modo di pensare, produrre, realizzare, proporre e vendere musica.
Il videoclip diventerà una vera è propria forma di linguaggio nuova. Brevi, diretti, con immagini veloci e spesso sporcate da uno stile dinamico, dove la camera è spesso in movimento, questi corti musicali faranno da apripista ai successi di molte realtà musicali nuove e, in alcuni casi, saranno il salvagente per gruppi o artisti storici in caduta libera.
Pochi mesi dopo basta entrare in un qualsiasi negozio di dischi di New York per sentire tutti i commercianti dire la stessa cosa: da quando c’è MTV, si vendono molti più dischi, anche di artisti che non vengono passati alla radio. È un bingo per tutti. MTV moltiplica i suoi profitti, praticamente a costo zero. Sono le case discografiche, ormai, a produrre i clip da offrire all’emittente, certi del ritorno in termini di vendite. Gli slot pubblicitari moltiplicano il loro costo, Warren si frega le mani: aveva ragione.
La comunicazione del canale è fresca, diretta, giovane. MTV diventa un brand, con un suo linguaggio peculiare, che si mantiene lineare in tutti i format proposti.
Una storia bella e probabilmente, caro Warren, fu l’ultima volta che qualcosa che avesse a che fare con la musica riuscì ad avere un impatto generazionale.