“Dottore questo farmaco non posso assumerlo perché mi fa male al fegato”, “dottore questa pillola non va bene! Mio marito soffre di fegato”, “Ma se prendo questo farmaco non è che mi viene un’epatite?”. Queste sono alcune domande che giustamente i pazienti rivolgono al proprio dottore prima di assumere una terapia; vediamo quanto queste preoccupazioni comuni rispecchiano la realtà, premettendo sempre che ogni terapia potenzialmente può presentare degli eventi avversi, l’importante è monitorare e comunicare al proprio medico eventuali sintomi.
Molti farmaci posso portare un aumento delle transaminasi (AST, ALT o GOT, GPT), segno di un danno epatico, ma ciò non vuol dire che vi sia un pericolo imminente per la nostra salute o per la funzionalità epatica. Solo in casi rari può presentarsi un danno epatico severo con grave compromissione della funzionalità.
Il termine danno epatico indotto da farmaci può essere quindi usato sia per indicare un danno clinicamente significativo, ma anche per un danno di lieve entità e del tutto asintomatico (spesso rilevato solo grazie ad esami ematochimici).
La fisiopatologia del danno indotto da farmaco varia a seconda del farmaco e spesso non è del tutto nota, sappiamo che esistono alcuni fattori predisponenti al danno epatico quali:
- Età ≥ 18 anni
- Obesità
- Gravidanza
- Concomitante consumo di alcol
- Predisposizione genetica
Da un punto di vista biochimico, il danno epatico indotta da farmaci può essere distinto in tre forme:
Epatocellulare: generalmente caratterizzato da aumento severo delle transaminasi e nei casi più gravi, può manifestarsi anche ittero (cute e sclere di colore giallo). Questo tipo di danno è tipico da abuso di paracetamolo, in caso di segni e sintomi è importante rivolgersi a personale sanitario esperto, poiché le condizioni cliniche possono evolvere in modo rapido e mettere in pericolo la salute del soggetto.
Colestatico: l’epatotossicità di tipo colestatico è caratterizzata da prurito e ittero accompagnati da un innalzamento marcato dei livelli sierici di fosfatasi alcalina (ALP). Generalmente, questo tipo di danno è meno grave delle sindromi gravi di tipo epatocellulare, ma i tempi di recupero potrebbero essere prolungati. Le sostanze note che provocano questo tipo di danno sono amoxicillina/clavulanato e clorpromazina.
Misto: in queste sindromi cliniche, non si verificano significativi aumenti della fosfatasi alcalina, né delle aminotransferasi. I sintomi possono anche essere misti.
La diagnosi si basa su segni clinici, anamnesi ed esami laboratoristici. Le principali società scientifiche propongono dei punteggi che permettono di distinguere il danno epatico da farmaci rispetto ad altri fattori eziologici. Gli esami laboratoristici sono indispensabili anche a valutare l’entità del danno e la funzionalità epatica.
La terapia varia in base al caso, ma la norma di base è quella di sospendere il farmaco sospetto. L’uso di cortisonici è ancora molto discusso, attualmente si è dimostrato efficace solo per l’epatiti autoimmuni indotte da farmaco. Nel caso in cui il danno è talmente severo da indurre un’insufficienza epatica irreversibile, è da prendere in considerazione il trapianto epatico.
Chiaramente non dobbiamo temere di assumere i farmaci, ogni medico valuta rischi e benefici per il paziente, ovviamente a favore dei benefici. Inoltre, gli eventi di epatite acuta con severa insufficienza epatica sono estremamente rari.
Infine, per sfatare qualche mito comune, chi ha malattie epatiche croniche non è vero che non può assumere farmaci. È necessario valutare ogni singolo caso, ad esempio sospendere la terapia con statine nei pazienti con malattia epatica cronica non è raccomandato. L’uso di statine in pazienti con malattia epatica cronica non è diverso dal loro uso in pazienti senza malattia epatica di base. Al contrario, le statine possono avere proprietà antifibrotiche e possono essere di beneficio ai pazienti con steatoepatite non alcolica e steatosi epatica non alcolica.
Riferimento: Danielle Tholey, Manuale MSD