I quattro grandi Alleati (Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Unione Sovietica), riuniti a Potsdam alla fine della guerra, decisero di amministrare congiuntamente la Germania sconfitta, almeno fino a quando un governo accettabile da tutti non vi si fosse stabilito. Era il 1945 e la convinzione generale lasciava sperare in una rapida soluzione politica della divisione di quello Stato e della sua capitale, Berlino.
Col deteriorarsi dei rapporti tra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica e l’inizio della guerra fredda, la Germania si ritrovò invece divisa in due: Est e Ovest. Stessa sorte toccò a Berlino, geograficamente in territorio Est, ma ugualmente spartita in due metà, una di pertinenza della RDT, Repubblica Democratica Tedesca, l’altra della RFG, Repubblica Federale di Germania.
Questa settimana ho portato la mia Macchina del Tempo dall’altra parte, dopo essere capitato per sbaglio ad Est, durante l’ultimo viaggio.
Check Point Charlie, 1979
La generazione tedesca di musicisti degli anni Sessanta e Settanta è figlia dei protagonisti dell’ultima guerra. Fanno i conti con le rovine, con le difficoltà di comprensione del recente passato e, appunto, con le divisioni.
In molte istituzioni, nonostante il clima politico sia completamente diverso, l’odore dei vecchi spettri è ancora presente e da questo deriva un grande attrito tra il vecchio e il nuovo.
Tra artisti, studenti e in generale tra i giovani, si fa grande un desiderio di libertà.
Berlino è una città dall’atmosfera cupa, eppure piena di un fermento artistico tale da dare vita ad alcune risposte interessanti al rock di matrice esclusivamente anglofona. Sono esempio di questo tentativo di affermazione di identità teutonica esperienze sperimentali come quelle dei Faust, dei Cluster o dei Tangerine Dream. Nella Germania Occidentale si assiste anche ai primi vagiti della New Wave, grazie ai Can o ai Neu!
Questo movimento passerà alla storia come Kraut Rock, un’etichetta vagamente dispregiativa usata per la prima volta sulle pagine del settimanale inglese Melody Maker.
Tra locali notturni, musiche nuove, correnti artistiche di avanguardia e (purtroppo) moltissima droga, il fermento culturale sembra addirittura alimentato dalle stesse cicatrici della città, su tutte quella del Muro. Berlino ha acquisito un fortissimo appeal che fa effetto anche su molte stelle del rock.
L’esempio forse più celebre è quello del Duca Bianco David Bowie, che si è trasferito qui insieme al suo amico Iggy Pop tre anni fa (1976).
David è arrivato dall’America, per cercare un momento di pace e ritrovare l’ispirazione che Los Angeles e la cocaina gli hanno sottratto. Il suo soggiorno in città ha dato vita a tre album memorabili: Low, Heroes e Lodger, passati alla storia come Trilogia berlinese e completamente intrisi di novità tedesche come elettronica, kraut rock, ambient e world music.
La stessa Heroes, forse la più famosa delle sue hits, gli è stata ispirata da due amanti abbracciati in prossimità del Muro, incuranti dei fucili sulle loro teste.
È molto emozionante pensare a tutto quello che sta succedendo in questa città martoriata (soprattutto dalla prospettiva di chi sa come andrà a finire). L’imposizione di barriere fisiche e di pensiero sembra essere quasi una “risorsa”, una sorta di molla per la produzione di risposte culturali.
Sono finito in queste riflessioni fissando il Muro da una panchina rivolta verso la cabina di controllo militare, quando il rumore di un’auto che arriva mi risveglia.
Un omino basso, peloso e barbuto che indossa un cappello esce dal taxi e si siede affianco a me. Accende una sigaretta, aspira due boccate poi tira fuori un taccuino e una matita. Non resisto, sbircio.
“Chissà chissà domani / su che cosa metteremo le mani / se si potrà contare ancora le onde del mare / e alzare la testa”.
E poi ancora: “I russi i russi, gli americani / no lacrime non fermarti fino a domani”
“Qui tutto il mondo sembra fatto di vetro / e sta cadendo a pezzi come un vecchio presepio”.
Si volta verso di me e sorride gentile. Non faccio in tempo a riprendermi dalla sorpresa di aver incontrato Lucio Dalla di fronte al Muro di Berlino, che il rumore di un’altra portiera sbattuta ci fa voltare entrambi.
Incredibile ma vero, stavolta a uscire dalla macchina è Phil Collins, che si siede una panchina più in là. Ora che ricordo, poco fa ho visto qui vicino un manifesto del concerto dei Genesis.
“Lucio, andiamo a conoscerlo, dai!”
“No. Non rompiamo la magia. Guarda questo Muro e immagina due amanti, uno di qua e l’altro di là. Si amano e progettano di fare un figlio. Chissà se un giorno sarà possibile.”
Ha ragione, il momento è magico. Saluto e mi allontano.
Berlino è un problema, un mistero, ma comunque una calamita e momento di riflessione per tutti.
Si Lucio, sarà possibile, nella Berlino Futura, proprio come la canzone che stai scrivendo.