Sono molti gli artisti che nel corso dei secoli hanno osservato la realtà, focalizzando l’ attenzione sull’ architettura del paesaggio, una natura incontaminata che nel corso dei secoli ha lasciato spazio all’ urbanizzazione, all’ industrializzazione e ad una speculazione economica basata sui principi del progresso tecnologico a tutti i costi. Artificio e natura, due elementi che si intrecciano, si integrano e si scontrano, soprattutto quando si parla di architettura e impatto ambientale, quando ciò che è di pubblica utilità contrasta con le bellezze della natura generando un’ estetica “inestetica”, un “ossimoro” visivo. Partendo da queste riflessioni l’ artista Glen Rubsamen è riuscito a dare “concretezza” a queste idee attraverso i suoi dipinti, interessante, emozionante e visivamente impattante è la mostra personale intitolata “Gleaming and Inaccesible” dell’ artista americano negli spazi della “Galleria Alfonso Artiaco”, ubicata in Piazzetta Nilo 7 a Napoli, fino al 21 ottobre 2017.
Dodici opere in esposizione, dodici tele dedicate alla sua Los Angeles, alla natura e alla cultura della California del Sud, immagini lontane da certi clichè, di un paesaggio da cartolina o di un mondo perfetto, accostando l’ artificiale e il naturale Rubsamen stimola l’ osservatore ad una analisi critica della realtà, del contesto urbano e del paesaggio, ponendo alla società diversi interrogativi sul reale valore del progresso industriale asserendo che se da una parte porta benefici alla collettività, dall’ altro, non bisogna trascurare gli effetti negativi di tale fenomeno.
Le su tele sono caratterizzate da una eccellente tecnica pittorica e una eloquente “grammatica” visiva, la natura perde la sua consistenza, perde il suo ruolo fondamentale, è appiattita, il cielo gradualmente perde la sua brillantezza, sfuma lentamente, gli alberi non sono più elementi indispensabili per la vita umana, sono soltanto sagome o elementi decorativi delle metropoli, tutto ciò che è naturale è lontano, è sbiadito, invece, tutto ciò che è artificiale è vicino, è curato nei minimi dettagli, apparecchiature radar, pali della luce, cartelloni e torri di trasmissione. E’ una Los Angeles inedita quella che osserviamo, l’ alba, il tramonto e la notte non emergono in primo piano, i loro colori “naturali” si contrappongono ed evidenziano in maniera molto incisiva la brutalità e l’ organizzazione delle strutture, si assiste ad un impoverimento ed un decadimento del valore delle natura e dei valori umani, il veloce e incessante sviluppo tecnologico ci restituisce un paesaggio desolante e metafisico, strumenti statici privi di essenza, privi di anima, (i colori scuri sinonimo di asprezza), hanno una destinazione d’ uso, sono un mezzo, disegnano uno skyline atipico, caratterizzato da figure geometriche che separano nettamente i due piani di azione, il cielo sullo sfondo e l’ architettura “artificiale” in primo piano, una volta obsoleti o non più idonei alla pubblica utilità vengono utilizzati in alcuni casi nell ‘arte come opere di archeologia industriale.
Altro elemento fondamentale nei dipinti di Rubsamen è la totale assenza della presenza umana, quest’ ultimo è l’ artefice di uno stravolgimento del mondo circostante e fautore di un pathos formale, è una figura presente, ma non è il protagonista, è il regista, mancano nelle sue composizioni riferimenti spazio-temporali, in alcune tele si respira una atmosfera “lunare”, i diversi elementi di colore scuro, pali della luce, tralicci e cartelloni rievocano le intelaiature delle strutture utilizzate in ambito cinematografico, proiettori, schermi giganti e materiali per l’ illuminazione scenica. Los Angeles, definita la “citta degli angeli” e in generale tutta la California sono nell ‘immaginario collettivo luoghi caratterizzati da chilometri di spiagge e ville lussuose, da una ricchezza infinita e strabordante, scintillante e inaccessibile, che brilla di luce artificiale e non naturale.