Il numero di ospedalizzazioni nel nostro paese ha raggiunto livelli molto elevati, anche se dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2017 questo trend risulta lievemente in calo (http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2831_allegato.pdf). Purtroppo, la medicina del territorio, soffocata e oberata anche da norme burocratiche oltre che dal sovraffollamento e dalla lentezza per ottenere procedure diagnostiche, non riesce talora a garantire un’assistenza completa del paziente e frequentemente il pubblico si rivolge ai pronto soccorso delle strutture ospedaliere anche per assistenza di base, ciò si traduce in ricoveri in alcuni casi anche impropri. L’ospedale, però, non deve sostituirsi o compensare le carenze della medicina del territorio sia per un problema di spesa sanitaria sia per una più adeguata assistenza al paziente. Anche l’ospedale, infatti, può presentare problemi insidiosi per i degenti, tra cui i più frequenti, purtroppo, sono le infezioni nosocomiali.
Le infezioni nosocomiali, ovvero quelle che il paziente contrae a seguito di un ricovero ospedaliero o di procedura medico/chirurgica, rappresentano un problema sanitario mondiale di notevole importanza. Un’infezione per essere definita ospedaliera deve presentarsi in persone ricoverate per una causa diversa dall’infezione e che non manifestino segni e sintomi di incubazione al momento del ricovero. Queste infezioni possono presentarsi 48 ore dopo il ricovero in ospedale, fino a 3 giorni dopo la dimissione per cause mediche ma fino a 30 gironi dopo un intervento chirurgico. Le infezioni nosocomiali più frequenti sono in genere le infezioni delle vie urinarie (legate anche a procedure come il cateterismo vescicale), infezioni postchirurgiche, infezioni da cateterismo venoso e quelle del tratto respiratorio. È chiaro che la struttura ospedaliera e i sanitari devono garantire procedure che riducano il rischio di infezione, ma c’è anche da sottolineare che i pazienti ospedalizzati sono pazienti più fragili, con un sistema immunitario compromesso e frequentemente in stato di denutrizione e con più patologie concomitanti. Inoltre, a causa dell’uso eccessivo di antibiotici, i batteri presenti in ospedale sono frequentemente resistenti alle terapie standard e quindi più complessi da trattare. I principali fattori di rischio per l’acquisizione di un’infezione nosocomiale sono: età del paziente (in particolare neonati ed anziani), tempo di degenza (maggiore è la durata del ricovero, maggiore è il rischio di infezione), uso di procedure invasive, le comorbidità e la malnutrizione. Le vie di trasmissioni possono essere varie, la più frequente è sicuramente il contatto diretto (soprattutto tramite le mani) tra persona infetta e persona sana, ma anche quello indiretto (ad esempio strumenti chirurgici non adeguatamente sterilizzati).
Purtroppo, non tutte le infezioni ospedaliere sono prevenibili, è importante, però, correggere alcuni atteggiamenti che possano facilitare il rischio di infezioni. Ad esempio, una semplice procedura che permette una notevole riduzione delle infezioni ospedaliere è il corretto lavaggio delle mani, che rappresentano uno dei principali veicoli di infezioni.
Oltre negli ospedali per acuti è necessario anche sottolineare che il rischio di infezione nosocomiale è una problematica presente in tutti i presidi assistenziali quali strutture di lungodegenza o RSA. Il ricovero ospedaliero, pertanto, deve essere attuato quando sia strettamente necessario, cioè quando sia impossibile il trattamento del paziente sul territorio, poiché anche il ricovero può presentare dei rischi per la salute. Le strutture ospedaliere ed i sanitari devono adottare pratiche assistenziali sicure, in grado di prevenire o controllare la trasmissione di infezioni sia in ospedale che in tutte le strutture sanitarie non ospedaliere per cercare di ridurre al minimo il rischio di complicanze infettive.