Non tutti sanno che il termine “vamp” è un’abbreviazione di vampira e che il termine risale addirittura al 1915. In quell’anno, Frank Powell dirige A fool there was, film tratto dall’opera di Kipling The Vampire. Protagonista della pellicola è Theodosia Goodman (in arte Theda Bara), prima attrice a dare volto e corpo al tipo di donna che oggi tutti conosciamo: assetata di sangue, tentatrice, perversa, simbolo di colei che porta alla follia il malcapitato maschio, anche senza l’ausilio dei letali canini. Date le sue celebri interpretazioni e il suo gusto eccessivo, ma di grande effetto, le viene dato l’appellativo di femme fatale. Grazie al suo personaggio, si afferma il trucco con gli occhi profondamente segnati dal khol, che dona l’aria di mistero. la moda poi si appropria anche dello stile della Goodman, che amava vestire alla araba, con pantaloni larghissimi, turbanti e paillettes, che ricordano lussi da mille e una notte.
Non fu l’unica a meritare questo appellativo. Intorno al 1950 l’attrice, modella, cantante e ballerina, nonché attivista francese Brigitte Bardot viene consacrata icona sexy e, insieme a Marilyn Monroe, diventa icona della sessualità femminile degli anni ‘50 e ‘60. La moda di quegli anni si addiceva molto a B.B., tanto da farla diventare soggetto dei dipinti di Andy Warhol. Fu una delle prime ad esibire il monokini (topless), già abbastanza comune in Francia, ma considerato uno scandalo negli USA. A Hollywood viene giudicata troppo risqué da gestire e l’industria cinematografica preferisce attrici acqua e sapone come Doris Day, la perfetta moglie americana.
Simile alla Bardot è l’amata Marilyn Monroe, inserita dall’American Film Institute al sesto posto nella lista delle più grandi star femminili di tutti i tempi. Fra i successi come cantante vi sono My Heart Belongs to Daddy di Cole Porter, Diamonds Are a Girl’s Best Friend (Gli uomini preferiscono le bionde), I Wanna Be Loved by You (A qualcuno piace caldo). Monroe è ricordata anche per l’intervento canoro alla festa di compleanno del presidente John Fitzgerald Kennedy, quando intona Happy Birthday, Mr. President. Per il suo fascino e la sua sensualità viene inoltre ritratta in numerose foto pubblicitarie, diventando un simbolo senza tempo e, secondo Marlene Dietrich, la prima vera sex symbol. Nei decenni successivi alla sua morte, la Monroe è stata spesso citata come vera e propria icona della cultura pop.
Numerosi gli studiosi che hanno studiato il suo volto, che risponde ai canoni di perfezione teorizzati da Leonardo da Vinci nel suo studio delle proporzioni. Se a questo si aggiunge un corpo esplosivo e capelli biondo platino, il risultato è un sex appeal senza precedenti, mitigato o forse accentuato da quella innocente aria da bambina, che la rende anche il simbolo di una femminilità dai grandi contrasti. Ed è in questa ambiguità che tutti la ricordano, con un’immagine rimasta impressa nelle nostre menti: nel film Quando la moglie è in vacanza l’attrice indossa un abito bianco plissettato, con allacciatura morbida dietro al collo, tale da formare una doppia banda che ne fascia il seno esaltandone il volume, con un’ampia gonna a ruota che volteggia nell’aria scoprendo le gambe.
Tra le icone di stile, ricordiamo anche Rita Hayworth, una delle più belle e seducenti donne della storia del cinema, rimasta tuttavia anche confinata nel ruolo stereotipato della pin-up, a discapito delle sue doti da interprete. Il look di Rita viene rielaborato soprattutto grazie a un drastico intervento di carattere estetico: per ovviare all’attaccatura di capelli molto bassa, la Hayworth deve sottoporsi a dolorose sedute di elettrolisi. La sua folta capigliatura viene poi trasformata dal bruno al rosso, e questa nuova colorazione, unita al naturale fascino latino e al fisico armonioso e atletico dell’attrice, è subito messa in risalto in una serie di film di successo. Dopo essere diventata un simbolo per i soldati americani al fronte durante la Seconda guerra mondiale, la fiammeggiante Rita Hayworth ottiene il suo più grande trionfo interpretando la sensuale protagonista del film noir Gilda (1946) di Charles Vidor accanto al suo storico partner Glenn Ford. Qui l’attrice appare al massimo della sua provocante sensualità, messa in risalto in celebri numeri musicali come Put the Blame on Mame e Amado mio. Viene soprannominata la “Dea dell’amore” e la sua immagine viene incollata sulla bomba atomica sperimentale lanciata sull’atollo di Bikini, circostanza che fece guadagnare all’attrice anche l’appellativo di “atomica”.
Marie Magdalene “Marlene” Dietrich, invece, è attrice e cantante tedesca naturalizzata statunitense, famosa nella prima metà del ‘900: un vero e proprio mito che lascia un’impronta duratura attraverso la sua recitazione, le sue immagini e l’interpretazione delle canzoni. Diventa una delle prime dive dello show business quale modello di femme fatal per antonomasia e il suo mito nasce e si sviluppa in contrapposizione a quello della divina Greta Garbo. Negli anni ‘30 Sternberg scatta la famosa foto di Marlene vestita da yachtman, diffusa dalla Paramount con la frase di lancio: “La donna che perfino le donne possono adorare”.
Il glamour di quella immagine spazza via tutte le remore della Paramount, che invano ha tentato di proibirle di mostrarsi in pantaloni: indossare vestiti maschili per una donna è in quel periodo un atto quasi sovversivo. Fotografata solo e soltanto da Rudolph Maté, il quale le creò quell’immagine di graffiante ma raffinata sensualità che la consegnò alla popolarità mondiale. Il primo film americano fu Marocco (1930) dove assistiamo al primo bacio omosessuale tra due donne nella storia del cinema. L’eroina di Angelo Azzurro gioca con l’ambiguità in maniera spavalda e trasgressiva. Passa dai panni di femme fatale a quelli androgini con una facilità impressionante; celebri i suoi ritratti con la sigaretta in mano, che per quegli anni erano espressione di emancipazione femminile.
Sulla stessa scia e nello stesso periodo troviamo Greta Lovisa Gustafsson, in arte Greta Garbo: per la sua bellezza e per la indiscussa bravura, seduce generazioni di appassionati cinofili con il suo carisma e l’aria misteriosa, ottenendo il soprannome “la divina”. Cambia nome dietro consiglio dell’amico e mentore Mauritz Stiller, un regista, ispirandosi a Bethlen Gábor, sovrano ungherese. Anche il suo look subisce progressivi mutamenti. Nel tempo libero Greta ama vestire comodamente, in maniera molto informale e decisamente androgina: è lo stile “alla Garbo”, caratterizzato da giacche di taglio maschile, pantaloni, camicia e cravatta, che mantiene sempre un fascino misterioso, imponendo un’immagine innovativa e, nel contempo, sensuale.
Veronica Lake, pseudonimo di Constance Frances Marie Ockleman, è un’attrice statunitense di enorme popolarità negli anni ‘40, soprattutto grazie ai ruoli da protagonista in film noir in coppia con Alan Ladd (Il fuorilegge, La chiave di vetro). Passerà però alla storia come icona di stile (famosa la sua pettinatura peekaboo bang, che le copre metà del volto) e come diva di incredibile avvenenza. Non per niente la grande Bette Davis la definì “la persona più bella mai arrivata a Hollywood”. A causa della sua personalità contorta e dei suoi disturbi psichici, si guadagna la fama di persona difficile e viene etichettata da più di un collega come “the bitch”.
Diverse dagli ultimi esempi citati è Audrey Hepburn: efebica, ossuta e con grandi occhi da cerbiatto. Anche la Hepburn lascia un segno indelebile nella storia della moda: quando parliamo del suo stile la nostra mente non può che far riferimento al film Colazione da Tiffany (1961), nel quale la giovane star interpreta Holly Golightly, la protagonista dell’omonimo romanzo di Truman Capote. La frizzante ed estroversa Holly si aggira, durante le prime ore dell’alba, per la Fifth Avenue davanti alla gioielleria Tiffany, indossando un tubino nero senza maniche, creato apposta per lei da Givenchy (con il quale stringe un’amicizia e un sodalizio professionale che sarebbe durato tutta la vita), con una scollatura appena accennata sulla schiena, per mettere in evidenza un triplo giro di perle che le fascia il collo e fa pendant con il gioiello posto tra i capelli a rivestire l’alto chignon, guanti lunghi rigorosamente neri e l’immancabile bocchino. Quel semplice tubino l’ha consacrata come icona di stile senza tempo: Audrey Hepburn è il simbolo di un’eleganza raffinata, che fa del nero il suo colore preferito, ma sa usare anche gli altri con la medesima classe.
Grace Patricia Kelly è stata un’attrice statunitense. Sposa di Ranieri III nel 1956, diventa principessa consorte di Monaco e madre dei principi Carolina, Alberto II e Stefania. Muore in un incidente stradale, nel 1982. Vince l’Oscar alla miglior attrice per la pellicola La ragazza di campagna nel 1955. L’American Film Institute ha inserito la Kelly al tredicesimo posto tra le più grandi star della storia del cinema. Nonostante l’opposizione della famiglia al suo desiderio di lavorare nel cinema, Grace Kelly, unanimemente ritenuta una delle più belle attrici mai apparse sullo schermo, inizia come indossatrice e, all’età di 22 anni, ottiene la sua prima parte nel film 14ª ora (1951). In seguito interpretò tre film per la regia di Alfred Hitchcock: Il delitto perfetto (1954), La finestra sul cortile (1954) e Caccia al ladro (1955). Sul set di quest’ultimo film, girato nel Principato di Monaco, conosce il futuro marito. A proposito di Hitchcock, è proprio sua l’espressione attribuita alla Kelly “Ghiaccio Bollente”, un ossimoro che il maestro del brivido crea per sottolineare l’algida bellezza e la sensualità che l’attrice sprigiona sul grande schermo.