Привіт всім! Benvenuti alla nuova tappa letteraria, siamo giunti in Ucraina.
Gli ucraini hanno una così grande stima degli scrittori da chiamarli “giornalisti” finché sono in vita: solo allora useranno il termine “scrittore”. Non c’è quindi bisogno di precisare che la letteratura è oggetto di enorme considerazione e la storia ucraina è ricca di individui che hanno dovuto combattere per scrivere nella loro lingua.
Una lotta che continua tutt’oggi: autori, scrittori, saggisti e poeti hanno deciso di restare in patria per resistere all’invasione russa, mettendo a repentaglio la loro vita e l’esistenza stessa di una comunità artistica.
Diamogli una mano, facciamoli sentire meno soli, leggiamoli!
Il convitto di Serhij Žadan
Potente atto conclusivo di un viaggio nelle pieghe più profonde dell’Ucraina orientale, Il convitto dispiega davanti ai nostri occhi una guerra che l’Europa ha già dimenticato. Un giovane insegnante vuole riportare a casa il nipote tredicenne che vive in un convitto. Il fronte si avvicina e la scuola in cui la sorella ha lasciato il ragazzo non è più sicura. Attraversare la città richiede un’intera giornata e il ritorno diviene un’odissea rabbiosa scandita dai posti di blocco e dai fuochi gialli che lampeggiano all’orizzonte. Le mitragliatrici rantolano, le mine esplodono. Truppe paramilitari, cani randagi che appaiono come fantasmi tra le macerie, un’umanità apatica che brancola disorientata in un paesaggio urbano apocalittico, dove ogni gesto di malinconica fratellanza e il senso di responsabilità si stagliano con luminosità commovente.
Victory Park di Aleksej Nikitin
Kiev, 1984. L’Unione Sovietica crollerà pochi anni dopo, ma sulla riva sinistra del Dnepr la vita scorre come sempre. I castagni sono in fiore al parco della Vittoria, dove i veterani della guerra in Afghanistan spacciano hashish mentre riparano le giostre per i bambini, e al chiosco gli speculatdri intrattengono la polizia corrotta. Sullo sfondo delle periferie di Kiev, l’amicizia tra i due studenti universitari Pelikan e Baghila è il trait d’union tra le storie dei frequentatori abituali del parco, che incarnano il caleidoscopio di popoli, vicende, successi e disgrazie che hanno caratterizzato la storia dell’URSS. Un feroce e divertente affresco della società ucraina di fin de siècle, un connubio di tragedia e commedia che attraverso il prisma del passato mostra al lettore le fragilità e i problemi dell’Ucraina di oggi.
Darusja la dolce di Marija Matios
Nel villaggio di questa regione europea travolta dalla storia, chiamata Bucovina, in cui le bandiere e le lingue cambiano più veloci del vento, vive Darusja. Tutti si prendono gioco di lei, del suo mutismo, delle emicranie che si scatenano alla vista delle caramelle e la costringono a immergersi nel fiume ghiacciato o a seppellirsi fino alle natiche nella terra fresca. Ma Darusja non è stupida. Per quanto non parli mai con nessuno, i suoi pensieri corrono senza sosta ed è solo al cimitero, sulla tomba del padre, che Darusja la dolce può liberare la propria voce. La felicità bussa un giorno alla sua porta e ha il viso di Ivan, un eccentrico suonatore di drimba che riesce a dare sollievo alla sua testa e forma alle sue parole. Ma il passato è un invitato scomodo alla tavola di Darusja e non ammette ospiti inattesi…
Una passeggiata nella zona di Markijan Kamyš
“Cernobyl’ dopo Cernobyl’ – oggi. In parte reportage, in parte memoir, in parte racconto di formazione e in parte nuova e insolita geografia letteraria. Una corsa umanissima e a perdifiato nella Zona di esclusione tra momenti di luce e tenebra, leggerezza e toccante profondità. Markijan Kamys è uno scrittore ucraino nato nel 1988. Il padre era uno dei cosiddetti “liquidatori” di Cernobyl’, fisico nucleare e ingegnere dell’Istituto per la Ricerca nucleare di Kiev, morto quando Kamys aveva quindici anni. Dopo aver studiato storia all’Università nazionale Taras Sevcenko, si è dedicato alla scrittura e alla scoperta della Zona di esclusione di Cernobyl’ come esploratore illegale, trascorrendovi, in totale, molti mesi.
Forse Esther di Katja Petrowskaja
Si sarà proprio chiamata Esther quella bisnonna che, nella Kiev del 1941, chiese fiduciosa a due soldati tedeschi la strada per Babij Jar, la fossa comune degli ebrei, ricevendone come risposta un distratta rivoltellata? Forse. E dell’intera famiglia, dispersa fra Polonia, Russia e Austria, che cosa ne è stato? Il monolite sovietico conosceva l’avvenire, non la memoria. Per ricostruire quella ramificata genealogia, quel vivace intreccio di culture e di lingue – yiddish, polacco, ucraino, ebraico, russo, tedesco –, Katja Petrowskaja intraprende, sulle tracce degli scomparsi, un intenso viaggio a ritroso nella storia di un Novecento sul quale incombono la stella gialla e quella rossa, e in cui si incrociano i destini di memorabili figure: la babuška Rosa, incantevole logopedista di Varsavia, che salva duecento bambini sopravvissuti all’assedio di Leningrado; il nonno ucraino, prigioniero di guerra a Mauthausen e riemerso da un gulag dopo decenni; il prozio Judas Stern, che spara a un diplomatico tedesco nella Mosca del 1932, e dopo un processo-farsa viene spedito «nel mondo della materia disorganizzata»; il fratello Semën, il rivoluzionario di Odessa, che passando ai bolscevichi cambia in Petrovskij un cognome troppo ebraico… Ma indimenticabili protagonisti sono anche i paesaggi: l’immane pianura russa invasa dai tedeschi e le città della vecchia Europa: Kiev, Mosca, Varsavia, Berlino. E i ghetti, i gulag e i lager nazisti. In questo romanzo vero, vibrante, venato di ironia – il migliore che la letteratura tedesca ci abbia dato dopo “Austerlitz” di Sebald –, mondi inabissati risorgono vividi, rapinosi, e più che mai contemporanei.
La terza guerra mondiale e altri racconti di Margarita Khemlin
Con uno sguardo ironico e affettuoso i racconti di Margarita Khemlin ci introducono nel mondo bizzarro e travagliato degli ebrei ucraini. Irrequieti e originali, i personaggi di questi racconti attraversano il Novecento in un equilibrio precario, quasi galleggiando con il loro bagaglio ebraico nel grande mare sovietico. Scettici e paurosi di ogni cambiamento, si misurano con le piccole vicende quotidiane come con i grandi eventi storici con il medesimo distacco e ironico sarcasmo, tratto del carattere che tuttavia non impedisce loro di fronteggiare la vita con passione e speranza.