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© 2022 Senzalinea testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli n. 57 del 11/11/2015.Direttore Responsabile Enrico Pentonieri
Riflessioni Senza Linea

La ribellione delle donne iraniane

Fabiana Sergiacomo
Fabiana Sergiacomo 6 mesi fa
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14 Min Lettura
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Non si fermano le proteste contro il regime iraniano dopo la morte avvenuta il 16 settembre di Mahsa Amini, una giovane ragazza di appena 22 anni, arrestata alcuni giorni prima, dalla cosiddetta “polizia morale” iraniana (Gasht-e Ershad, la pattuglia della morte) perché non rispettava il severo codice di abbigliamento imposto.

Nello specifico, la piccola donna è stata ritenuta colpevole per non aver indossato correttamente il velo e per questo, ha meritato la morte ovvero una punizione tale da provocarne la morte.

La polizia respinge le accuse e  sostiene che Masha sia morta di morte naturale, ma la famiglia non accetta questa verità perché è convinta che la figlia sia deceduta a causa delle percosse e del trattamento punitivo ricevuto mentre era in un illogico stato di fermo.

La cruenta uccisione della ventiduenne di origini curdo-iraniana ha rivelato, se ce ne fosse ancora bisogno, a livello internazionale, l’oppressione e la grave condizione di sottomissione e asservimento a cui sono sottoposte le donne nel sistema patriarcale iraniano.

L’iniziativa di protesta è nata dall’impulso dell’associazione dei familiari delle vittime del volo abbattuto da missili iraniani l’8 gennaio 2020 pochi minuti dopo il suo decollo dall’aeroporto di Teheran in direzione Kiev ma si è poi moltiplicata, anzi quintuplicata tanto da coinvolgere moltissime città iraniane in ognuna delle quali si organizzano e susseguono da settimane le iniziative più diverse, tutte rivolte contro il regime e la sua violenza.

E’ così che lo slogan “Donna, vita, libertà” (zan, zendeghi, azadi), risuona nelle piazze di Teheran e, non solo, di tutto l’Iran da quando sono scoppiate le proteste contro il regime della Repubblica islamica tanto che l’attivista Masij Alinejad, giornalista e attivista iraniana in esilio negli Stati Uniti, ha dichiarato che “sono le donne che in Afghanistan e in Iran si fanno avanti, a caro prezzo, per resistere ai talebani e alla Repubblica islamica che rischiano la vita affrontando armi e proiettili. Loro continueranno a lottare contro quei regimi e noi che abbiamo il privilegio di vivere in Paesi liberi dovremmo amplificare attivamente le loro voci. Questo è il momento per le donne occidentali di stare dalla parte delle madri, delle figlie e delle sorelle iraniane” definendo, infine, l’eroismo della lotta messa in atto dalle sue conterranee  in una espressione emblematica e  dal grande impatto “le donne iraniane sono le leader femministe del XXI secolo”.
Di fatto, nonostante le piazze siano impazzite con le numerose folle in protesta, il regime sta attuando una repressione senza pietà.
Secondo Amnesty International sarebbero già 52 le persone uccise durante le manifestazioni dalle forze di sicurezza iraniane dal 19 al 25 settembre e l’organizzazione umanitaria è in possesso di documenti in cui si dettano precise disposizioni alle forze dell’ordine che dimostrano la spietatezza e spregiudicatezza delle misure messe in atto dal regime pur di fermare, a modo loro, l’onda inarrestabile di contestazioni e insurrezione nelle piazze.
Sarebbe stato documentato da Amnesty International che in data 23 settembre, il comandante delle forze armate della provincia di Mazandaran, per esempio, ha ordinato di “affrontare senza pietà, anche arrivando alla morte, qualsiasi disordine provocato da rivoltosi e antirivoluzionari”, in questo modo, legittimando l’uso irragionevole della forza contro chi protesta rischiando personalmente la propria vita nella difesa spasmodica di diritti umani e libertà fondamentali.
E così in moltissime città dove la polizia locale si sente autorizzata a compiere le più terribili nefandezze nei confronti dei manifestanti, spesso inermi e disarmati.
Ma si sa che il potere delle parole e la forza della rivoluzione sta nei simboli, ed ecco perchè la mannaia del regime ha colpito ancora una volta con la morte di Hadith Najafi, la ragazza simbolo dei cortei.

La giovane è stata uccisa a Karaj, stando alle varie denunce apparse sui social ed in particolare quella della giornalista iraniana Masih Alinejad, che sul suo profilo Twitter ha rivelato che “aveva solo 20 anni ed è stata uccisa da sei proiettili nella città di Karaj“, accusa ripetuta con coraggio dalla madre.La ragazza aveva diffuso un messaggio video che di fatto, in breve tempo, era divenuto virale  nel quale lei, bellissima, bionda,  senza velo, si legava i capelli prima di una manifestazione.

Ennesima morte ingiustificata, ennesimo delitto in nome dello Stato, di uno stato tirannico e autoritario dove diritti e libertà sono negati e dati per mai acquisiti.

Tali tipi di reazione che si stanno susseguendo con frequenza e di cui comincia ad essere difficile averne traccia, vista la censura sui media locali, fa capire come le proteste di questi giorni spaventino fortemente il regime teocratico iraniano che potrebbe seriamente  vacillare proprio nei suoi fondamenti principali che si reggono proprio sul controllo maniacale della vita degli iraniani e, ancor più, delle iraniane.

Sono le donne, infatti, le principali vittime dell’oppressione dei mullah ma sono anche le protagoniste indiscusse delle proteste di questi giorni, donne che, rischiando la vita, scendono in strada, si tolgono il velo, lo bruciano, si tagliano ciocche di capelli per rivendicare una sola cosa: la loro libertà.

Si tratta delle manifestazioni più importanti dalla rivoluzione del 1979, ben più rilevanti di quelle del 2009 e del 2019, perché questa volta partono dalla provincia per estendersi in tutto l’Iran, inoltre, questa volta le istanze di libertà della borghesia si uniscono alle rimostranze economiche dei ceti popolari.
E in solidarietà con le donne iraniane, sabato 1° ottobre in decine di città in tutto il mondo uomini e donne sono scesi in piazza per gridare la loro voce di protesta con iniziative e manifestazioni; a Roma diverse donne hanno tagliato ciocche di capelli proprio in segno evidente di solidarietà con le iraniane che con forza e coraggio stanno combattendo senza armi in difesa dei propri diritti come persone visto che il loro valore è nettamente inferiore ai loro concittadini maschi.

Se, difatti, è risaputo che la fantomatica Repubblica islamica violi sistematicamente i diritti umani, nel caso delle donne il sistema giuridico le declassa come persone, considerando il loro valore come persone pari alla metà rispetto a quello degli uomini nella testimonianza in tribunale oppure nel risarcimento in caso di ferimento e morte violenta o ancora, nelle questioni di eredità.

Al tempo stesso, per le iraniane è difficile ottenere il divorzio e ancor più la custodia dei figli minori.

E sono discriminate nell’accesso ad alcune facoltà universitarie che garantiscono maggiori opportunità ai loro coetanei di sesso maschile.

Non può, quindi, non manifestarsi ammirazione infinita per il coraggio delle donne, che, senza distinzione di età, anche con uomini rivoluzionari accanto, sfidano in prima linea un regime che non esita a rispondere con brutalità attuando in modo spietato una violenta repressione di ogni forma di ribellione.

La morte di Mahsa Amini è diventata, dunque, la miccia per denunciare un regime che viola costantemente i diritti umani, la libertà di espressione, i diritti delle donne e dei soggetti lgbtqi, delle minoranze etnicoreligiose, ma anche di una politica incapace di fare il suo dovere e di governare una repubblica di nome e di fatto!

Dopo un momento iniziale in cui alcuni deputati avevano proposto la revisione e, persino, l’abolizione della polizia morale, la macchina repressiva si è messa in moto: i dati degli ultimi giorni parlano di 3000 persone arrestate, 80  morti tra i dimostranti, numerosi feriti con una denuncia aperta nei confronti del regime da parte degli iraniani all’estero che accusano la polizia islamica di  massacrare altre donne, uomini, ragazze e ragazzi per strada, definendo i manifestanti pericolosi per la sicurezza nazionale.

Peraltro, con l’alimentarsi delle proteste e la partecipazione del mondo intero alla ribellione in nome della libertà, le autorità iraniane stanno agendo su due fronti repressivi ancora più forti: la repressione violenta della protesta con arresti (tra cui anche alcuni reporter stranieri, costretti così al silenzio e al denegato diritto di cronaca) e numerosi morti e la soppressione di ogni forma di comunicazione possibile col mondo esterno con internet rallentato  e controllato e i canali  Instagram e Whatsapp che hanno smesso di funzionare.

Malgrado la ferocia della repressione, le proteste non sembrano diminuire di intensità e, con un effetto domino, stanno coinvolgendo anche diverse capitali europee e tutti gli iraniani che si trovano nel mondo a presentare la loro testimonianza antiregime, come le immagini di una donna senza velo che canta un inno di pace “Bella ciao”, intonato in segno di protesta che gira sui social, malgrado la repressione e la smania di controllo del regime.

Piena solidarietà espressa in tutto il mondo a tutte e tutti coloro che, nonostante la dura repressione di questi giorni, continuano a chiedere, in Iran, il rispetto delle libertà fondamentali, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la fine di un sistema patriarcale oppressivo.

In particolare, la solidarietà è con le donne e gli uomini che non hanno esitato a sollevarsi uniti contro la morte di Mahsa Amini.

La capacità di resistenza e di lotta delle donne si è manifestata in più occasioni nella storia del paese ma ora la tenacia dimostrata e la resilienza testimoniano la consapevolezza dell’emergenza di un cambiamento culturale, storico, politico, familiare, davvero rivoluzionario  che non sembra arrestarsi malgrado le formule repressive adottate dal regime autoritario.

Un cambiamento, una rivoluzione quanto mai necessaria e che coinvolge non solo le donne iraniane ma tutte le vittime di dispotismo e autoritarismo dei regimi, non da ultimo la recrudescenza terribile della guerra in Ucraina con il folle gesto dell’annessione russa dei territori ucraini, della chiamata alle armi di centinai di migliaia di giovani innocenti, ritrovatisi improvvisamente da uno smartphone ad un campo minato, alla guida di un carro armato, al fronte nascosto in una trincea con l’unico scopo di uccidere o difendersi da un proprio lontano cugino, vista la grande familiarità e vicinanza – prima di ora – tra russi e ucraini.

E’ l’assurdità della guerra, ancora una volta, prioritaria preoccupazione nelle parole dell’Angelus di Papa Francesco che ha implorato Putin di arrestare questa follia cieca della guerra e la minaccia insensata ma pericolosissima di armi nucleari per fermare la difesa degli ucraini.

Eppure, la pace, oggi divenuta meteora, era la nostra normalità, la normalità dell’Europa, dell’Occidente, era la barriera di civiltà che avevamo costruito, era l’orgoglio di una conquista democratica senza precedenti storici così lunghi…e invece, ora, con una economia di guerra a cui lentamente ci stiamo rassegnando e la follia di chi ci governa, la pace sembra irraggiungibile, sembra un miraggio, qualcosa per cui si è perso interesse, non più una priorità, una emergenza storica, ma una rinuncia o, peggio ancora, una triste rassegnazione.

Forse, anche per questo, la solidarietà per le donne iraniane è più forte delle altre volte storiche in cui sono avvenute questo tipo di proteste, è più rumorosa e sta facendo più eco, proprio perché fa leva sulla vulnerabilità di tutti noi, anche noi occidentali che ci sentivamo sicuri e forti, lontani da questi pericoli e che ora riconosciamo sempre più il valore delle libertà conquistate e dei diritti acquisiti, tanto che il grido di protesta è ancora più forte e unanime e vorrebbe sovvertire gli ordine antidemocratici per ripristinare la pace e la democrazia, turbate così ferocemente ancora una volta dalla follia degli uomini stessi, nemici fra loro, armati gli uni contro gli altri, irragionevolmente perché le repressioni, gli autoritarismi, le dittature, le guerre non hanno mai una ragione…e benchè mai, una buona ragione.

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Fabiana Sergiacomo Ott 3, 2022
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Pubblicato da Fabiana Sergiacomo
Fabiana Sergiacomo, funzionario del Miur, appassionata della mia città e della sua inesauribile cultura. Dotata di una passione sconfinata per la lettura, la scrittura e l'arte che Napoli offre in ogni angolo e in ogni suo tratto caratteristico.
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