Alla centrale di polizia di Fort Louderdale, Luc Havan si sta difendendo strenuamente. Dice di averlo solo spinto, quell’ubriacone molesto. Lui, cadendo, ha battuto la testa.
Non dice, Luc, di essere esperto di arti marziali e la sua versione non coincide con quella di alcuni testimoni presenti alla porta del Midnight Bottle Bar, il locale dove Harvan lavora come buttafuori. Quelli parlano di un pestaggio, un pestaggio in piena regola. È vero, quello strambo tipo è arrivato lì ubriaco fradicio e insisteva per entrare. Forse era addirittura drogato, di certo non nelle condizioni per essere ammesso all’interno del bar alle tre del mattino.
Intanto, all’esterno del locale, i medici stanno caricando sull’ambulanza, sollevandolo dalla pozza di sangue in cui il suo corpo privo di sensi è immerso, John Francis Anthony Pastorius, detto “Jaco”.
Non lo sanno, ma stanno tentando di salvare la vita al più grande bassista che si mai nato.
È un incubo che sconvolge anche me. E pensare che questo 11 settembre del 1987 era cominciato nel migliore dei modi!
Le 45.000 barche a vela per una popolazione di poco più di 170.000 abitanti e i cento e più tra porticcioli e ormeggi, rendono l’idea dell’amore per il mare e giustificano sicuramente l’appellativo di Venezia d’America che Fort Lauderdale si è guadagnato.
Siamo all’estremità sudorientale della Florida, affacciati sull’Oceano Atlantico, in un fazzoletto di terra che fa da ago della bilancia tra il clima temperato e il clima tropicale. Qui, per almeno trecento giorni l’anno, c’è un tempo fantastico.
La passeggiata sulla lunghissima spiaggia di stamattina è stata davvero rigenerante poi, ciliegina sulla torta, mi ero imbattuto nel manifesto di un concerto. La fortuna sembrava sorridermi, al Sunrise Musical Theater (non dista neppure venti chilometri dalla spiaggia) era in programma il live di Carlos Santana!
Un concerto memorabile, con i quasi quattromila posti del teatro tutti pieni, e la fenomenale band di Santana, composta da tutti navigati professionisti.
Ahimè, proprio quando la scena era stata presa dal bassista Alphonso Johnson, l’imprevisto. Scalzo e vestito in maniera trasandata, un senzatetto, o qualcosa di simile aveva fatto irruzione sul palco. Nonostante il rumoreggiare del pubblico il tizio, alla fine dell’assolo del bassista, gli aveva afferrato una mano e l’aveva sollevata al cielo, come fanno gli arbitri alla fine degli incontri di boxe per decretare il vincitore. Il tutto era durato pochi istanti, poi gli addetti alla sicurezza avevano fatto ciò per cui sono pagati, cioè prendere di peso quel barbone e buttarlo giù dal palco per cominciare, fuori dal teatro per finire. Nessuno tra il pubblico si era reso conto di chi fosse quel figuro, fino a quando lo stesso Santana, con un surreale tono di rispetto reverenziale, aveva glissato sull’episodio addirittura salutando e ringraziando lo strano invasore di palco.
La rivelazione aveva colto di sorpresa anche me. Il pazzo saltato sul palco era Jaco Pastorius.
Le sue condizioni erano talmente pessime che neppure io (che pure sono un suo grande fan) avevo avuto la prontezza di riconoscerlo.
Chi su quel palco conosceva meglio di tutti nome e cognome di chi gli aveva preso il braccio, era sicuramente Alphonso Johnson. Jaco, una decina di anni fa, aveva preso il suo posto come bassista del supergruppo fusion dei Weather Report, dando inizio alla sua breve quanto folgorante carriera.
E cari amici, per farvi capire di chi stiamo parlando, vi basti sapere che se c’è una persona a cui il basso elettrico deve la sua evoluzione da mero strumento di accompagnamento a possibile centro della composizione, strumento solista e protagonista di primo piano all’interno di formazioni non solo jazz, ma funky, r&b, soul e addirittura pop e rock, quella persona è “Jaco”(e sia chiaro, si dice Giaco, non Iaco!).
Ma dunque, cosa è successo a Jaco lungo questi dieci anni? Come è possibile che sia passato dai più grandi palchi del mondo, dai grandi consensi, dai riconoscimenti internazionali, alla strada, all’elemosina e al quasi vagabondaggio?
Qualcuno in sala già parla del suo alcolismo, della sua dipendenza dalle droghe. Tutto vero, certo. Eppure le risposte più complete affondano le loro radici nella complessa personalità di Pastorius, bambino prodigio, figlio di un padre musicista e alcolista, genio bruciatappe del basso e in generale della musica, che ha sempre considerato se stesso (dimostrandolo sempre con le prove dei fatti) come il migliore del mondo. Jaco è buono, sano, sportivo. Ma è anche un giovane ragazzo affetto da una devastante sindrome bipolare. Poi sono arrivate le dipendenze. Non tutti qui lo sanno, ma Jaco è profondamente malato e, come tutte le stelle che brillano al doppio dell’intensità delle altre, sta bruciando nella metà del tempo.
Neppure la chiacchierata con Santana a fine concerto aveva calmato il genio: la vita, la morte, la spiritualità, la religione e argomenti che solo anime profonde e gentili come quella di Carlos e Jaco possono affrontare.
Jaco voleva un altro bicchiere, l’ultimo. Poi lo scontro col buttafuori.
Mi vengono le lacrime ad incrociare lo sguardo di Luc Havan. Gli altri ragazzi che hanno assistito alla scena sono convinti che sarà assicurato alla giustizia. “Finirà in galera”, dicono, “È impossibile ridurre un uomo così e farla franca”. In effetti le fratture craniche multiple e un occhio completamente fuori dall’orbita mal si conciliano con la descrizione dei fatti riportata dal buttafuori, che continua a parlare di una caduta accidentale del bassista.
Chiedo perdono per la tristezza di questo racconto, ma i fatti resteranno solo due: Jaco, dopo nove giorni di coma, morirà senza riuscire a compiere 36 anni. Havan, al tempo in cui scrivo, fa l’agente immobiliare a Palm Beach. Per quella notte di violenza brutale, “pagò” quattro inutili mesi di carcere e una cauzione da 50.000 dollari.
Non sempre viaggiare nel tempo è cosa piacevole, se non coi ricordi.
Eccone uno, del più grande di sempre. Jaco Pastorius.