Come tutti i castelli che si rispettino, anche castel Capuano ha il suo fantasma
Si racconta che ogni 19 aprile, nei corridoi del vecchio tribunale di Castel Capuano, si odano lamenti, e urla disumane. Sembra che l’anima dannata che si aggirerebbe nell’antico castello, sia quella di Giuditta Guastamacchia, sposa fedifraga che nell’aprile del 1800 fu processata e giustiziata dalla Gran Corte della Vicaria per aver assassinato, con l’aiuto del suo amante e del di lei padre, il giovanissimo marito e fatto scempio del suo cadavere.
La storia di Giuditta comincia verso la fine del 700, quando giovanissima, con un figlio piccolo da allevare, si ritrova sola e povera dopo la morte di suo marito. Dopo un breve periodo trascorso nel convento di Sant’Antonio alla Vicaria, Giuditta inizia una relazione con un sacerdote, tale don Stefano D’Aniello, che per salvare le apparenze si spaccerà come uno zio. Ed è proprio lui che per allontanare i sospetti e far cessare alcune voci, che inviterà a Napoli dalla Puglia un suo giovane nipote appena sedicenne, per farlo sposare con la bella vedova. Ma un giorno il ragazzo scopre l’inganno, decide di rendere pubblica la tresca tra sua moglie e il prete (suo zio), facendo scoppiare lo scandalo.
A quel punto, per evitare lo scandalo, la mente diabolica di Giuditta elabora un piano criminale.
In lacrime e mal messa corre dal padre asserendo essere stata malmenata e derubata di tutti i suoi averi dal marito, elaborando poi un piano delittuoso, convincendo anche l’amante a parteciparvi.
Giuditta con uno stratagemma, attira in casa il giovane, dove con l’aiuto dei due uomini lo uccidono e poi con l’aiuto di altri due uomini, un barbiere e un chirurgo, decide di fare a pezzi il cadavere mettendoli in un sacco, per poi disperderli nel bosco, in campagna e nel mare. La loro idea era quella di far attribuire l’omicidio ai soliti rei di Stato.
Ma Il piano fallisce perchè, il barbiere, viene beccato dalle guardie reali mentre cerca di disfarsi dei poveri resti. E, dopo un lungo interrogatorio, confessa tutto facendo i nomi dei suoi complici. Giuditta Guastamacchia a quel punto tenta la fuga ma viene catturata a Capodichino. Il tribunale della Vicaria condanna tutti a morte per impiccagione, solo lo zio prete, se la cava con l’ergastolo perché fu l’unico a non aver partecipato materialmente all’omicidio del nipote.
Dopo l’impiccagione, a Giuditta venne tagliata la testa e mani le furono amputate e messe in mostra a una delle finestre della Vicaria
Il cranio di Giuditta, è uno dei reperti esposti nel MUSEO ANATOMICO DI NAPOLI ( ma di questo ne parlerò la prossima volta )