Dà un racconto della grande Matilde Serao, nelle sue “Leggende napoletane”, la storia di tre sorelle, Donna Regina, Donna Albina e Donna Romita, figlie del barone Toraldo, del Seggio di Nido o di Nilo, e di Gaetana Scauro, anch’essa di elevato rango.
Le tre sorelle erano di una straordinaria bellezza. All’età di 19, 17 e 15 anni, divennero orfane.
Alla più grande, Regina, toccò, per legge, la smisurata ricchezza del padre e, dato che in famiglia non vi erano eredi maschi, le toccò anche la custodia della gloria e del sangue aristocratico conferendole moltissimi privilegi, ma altrettanti doveri: nella grande sala baronale ella doveva ricevere gli amministratori dei suoi beni ed il popolo che chiedeva giustizia per i torti subiti.
Dovendo ostentare sempre severità ed inflessibilità brandiva sempre il suo magnifico scettro, tempestato di zaffiri, rubini e smeraldi; le sue parole dovevano essere recepite come ordini.
Per incutere rispetto verso la sua persona, ella iniziò ad indurire i lineamenti del volto e a dare un tono austero alla sua voce. Piano piano anche il suo cuore si indurì.
La seconda sorella, chiamata Albina a causa dei capelli chiarissimi, e del pallore quasi etereo del suo viso, rivolgeva tutto il suo interesse ai ricami e agli arazzi ed insegnava alle ragazze l’utilizzo delle macchine tessili. Delle tre, era quella che dava a palazzo Toraldo vitalità e splendore.
La più giovane, Romita, viveva le sue crisi adolescenziali, tra tristezza e splendidi sogni.
Come in tutte le famiglie aristocratiche dell’epoca, fu pianificata una festa con i migliori “partiti”di Napoli, durante la quale, Donna Regina avrebbe dovuto scegliere il promesso sposo.
Tantissimi furono i giovani nobili che si presentarono alla festa, tra questi vi era anche Don Filippo Capece, un bellissimo cavaliere napoletano, bello, gentile e tanto affabile che catturò l’interesse di tutte e tre le sorelle: Regina trasalì ad un suo sguardo; Albina rabbrividì alle sue parole; Romita si illuminò al tocco della sua mano, insomma si innamorarono contemporaneamente e perdutamente dello stesso uomo.
I giorni seguenti furono pieni di sofferenza, vissuti in solitudine, ognuna nella sua camera.
Le sorelle si volevano troppo bene e nessuna delle tre voleva dare un dolore alle altre quindi presero l’unica decisione possibile: consacrare la propria vita a Dio. Edificarono, così, tre monasteri, con incluse tre chiese che presero il loro nome.
Donna Regina, divenuta badessa, si affacciava dalla finestra della sua cella, per ammirare Palazzo Toraldo (oggi divenuto Museo d’Arte Contemporanea, il Madre) e spesso sospirava ricordando il giorno in cui aveva conosciuto l’amore.
Donna Albina e Donna Romita, in due conventi vicini, trascorrevano il tempo pregando e passeggiando nei chiostri pensando con rammarico all’amore perduto: il bel Filippo.
E lì restarono fino alla morte, ma l’amore non si era mai sopito.
Si racconta che ancora oggi dopo sette secoli, durante la notte le sorelle Toraldo, si aggirerebbero per i vicoli alla ricerca del loro amato. I Napoletani, hanno dedicato loro tre strade nel Quadrilatero greco-romano.
Si narra che nella notte buia e senza luna, tre figure bianche, tendono le braccia per cercarsi. Spettri, immobili, nell’angolo più buio di piazzetta Nilo, vicino al “corpo di Napoli”, sono le tre sorelle che provano ad abbracciarsi, per annullare definitivamente il loro dolore.