Un paio di giorni fa, sul magazine Napoli Today, è apparso un articolo, firmato da Davide Schiavon, in cui si metteva in evidenza che a Napoli, le unioni civili sono in numero decisamente inferiore che a Roma e Milano.
L’articolo avanzava l’ipotesi che l’esiguità delle unioni civili sarebbe da imputare a un fattore di tipo marcatamente culturale che riguarda il Sud. Un Sud che, insomma, resta indietro.
Invero, crediamo che questo tipo di analisi non focalizzi correttamente il fenomeno.
La verità è che in tutto il Paese si sono celebrate un numero limitato di unioni civili. Nel complesso, meno di quante ci saremmo aspettati.
La ragione di questa “mancanza” è di tipo culturale ma non ha a che fare con coordinate geografiche quanto piuttosto con l’immaginario erotico-sentimentale delle persone omosessuali.
È un fatto innegabile, infatti, che nell’immaginario omosessuale la narrazione della vita di coppia, della stabilità affettiva e delle regole che questa comporta, sia cosa abbastanza fragile e giovane. Una fragilità dovuta soprattutto al contesto omofobico in cui la vita delle persone omosessuali si è svolta e, in parte, ancora si svolge.
La narrazione delle relazioni umane relativa alle persone omosessuali – basta osservare le pubblicità delle serate gay – è tutta incardinata sulla sessualità e sulle varie declinazioni della casistica sessuale.
Un ragazzo gay che voglia divertirsi, ad esempio, deve selezionare il proprio luogo di divertimento, scegliendo tra locali che pubblicizzano, nella maggior parte dei casi, serate con go-go boys, dark room, glory hole e labirinti. E questi non sono certo posti deputati a trovare il fidanzato. O, meglio, il “marito”.
In quest’epoca di narcisisti patologici, di reificazione dei corpi, di totale neutralizzazione dell’essere umano, l’assoluta assenza di una narrazione “sentimentale” e di “coppia” delle persone omosessuali, rende debole perfino un istituto giuridico importante come quello delle unioni civili.
Al di là delle ipocrisie, quante coppie gay, ad esempio, si presentano pubblicamente come “coppie aperte”? E come possono queste coppie, cosiddette “aperte” (trattasi di ossimoro), essere modello narrativo della concreta determinazione sociale della coppia “amorosa” costituita da persone dello stesso sesso? Come possono ambire queste coppie a coronare il sogno di un’unione che, nei fatti, si sbriciola e si frastaglia quotidianamente tra Grindr e Gay Romeo?
Le unioni civili, come i matrimoni, si fondano nell’immaginario collettivo sul principio del “per sempre”, un principio che possiamo anche trovare obsoleto ma che, per esempio, è funzionale a sostenere l’obiettivo del “matrimonio” nell’universo sentimentale delle persone eterosessuali, mentre nell’universo sentimentale delle persone omosessuali il “per sempre” non regge agli urti sia dello stigma, molto spesso interiorizzato dalle coppie omosessuali, sia delle sollecitazioni voluttuarie e sensuali, ci riferiamo sostanzialmente alle coppie composte da due uomini, a cui viene sottoposta la comunità, priva per ragioni storico-antropologiche di una tradizione di “stabilità” di coppia (fino a quarant’anni fa, molti rapporti tra omosessuali maschi in Italia nascevano, vivevano e si concludevano negli orinatoi della stazione e avevano per protagonisti uomini sposati o comunque amanti di una notte).
Insomma, se l’esiguità di unioni civili è la ricaduta di una forma di povertà culturale, questa non è tanto attribuibile ad astratte differenze regionali quanto alla mancanza di una narrazione comune alla stessa comunità che esalti i valori “familiari” e tradizionali della coppia anche all’interno delle relazioni omosessuali.
La “normalità” delle unioni civili non si coniuga con una narrazione di incontri “clandestini” e occasionali, di sesso consumato attraverso le chat e promiscuità da cruising e non si coniuga nemmeno con una narrazione di esclusione e stigma: forse è arrivato il momento per la comunità omosessuale italiana di iniziare un lavoro culturale più profondo di narrazione dei valori autentici dello stare insieme che conduca ad una maggiore liberazione degli individui rispetto alla priorità e alla legittimità dei propri sentimenti e dei propri bisogni affettivi.
Solo dopo avrà senso contare il numero delle unioni civili. Sperando che “un dopo” ci sarà…
Poche unioni civili? Colpa di un immaginario privo del “per sempre”.
Claudio Finelli, (Napoli, 1973) docente di lettere. E’ Delegato Cultura di Arcigay e referente nazionale per la UilScuola nel Coordinamento Diritti. Collabora con il Nuovo Teatro Sanità di Napoli.