Molti degli uomini più ricchi del mondo, non appena si rendono conto dei guadagni che stanno avendo, si sentono in dovere di spendere una parte del proprio patrimonio per migliorare la propria vita. Chi aiutando la propria famiglia, chi aiutando gli altri e chi, con una mentalità un po’ materialistica ed egoista, direbbe qualcuno, cercando di abbellire dal punto di vista estetico se stessi o la propria dimora. E il modo migliore per fare ciò è senza dubbio comprare qualche opera d’arte molto costosa; che sia un quadro, che sia una statua, o magari un grammofono per un sottofondo musicale che dia a tutto l’ambiente un’aria vintage. Ma perché sto facendo questo discorso ? Fondamentalmente per due motivi: il primo è per introdurre il discorso artistico (musicale nello specifico, come vedrete), il secondo è per affermare, più o meno implicitamente, che l’arte esige una certa spesa. E dopo questo ampio preambolo direi che è arrivato il momento di affrontare l’argomento che vorrei trattare: Spotify.
Spotify è un servizio musicale che offre lo streaming di una selezione di brani di varie case discografiche ed etichette indipendenti (parole di Wikipedia) e durante la settimana passata è stata nell’occhio del ciclone per quanto riguarda una polemica che lo ha visto protagonista. Parlo di una questione che molti di voi avranno già sentito e risentito: durante la giornata di martedì 6 marzo, la società svedese ha iniziato a bloccare tutti gli utenti che usufruivano del loro servizio premium senza pagare i 10 € mensili. La maggior parte dei suddetti utenti, infatti, utilizzava un programma (Spotify mod APK) che permetteva loro di sfruttare l’applicazione musicale sui propri dispositivi Android, senza cacciare di tasca propria nemmeno una moneta.
È chiaramente una cosa sbagliata ed illegale, e Spotify ha fatto più che bene ad agire in questa maniera, nonostante tutte le polemiche che si sono andate a creare. Perché sì, internet è un posto in cui ogni consumatore è convinto di avere ragione e difende la propria “opinione”, anche quando va contro il buon senso e l’amor proprio, a spada tratta. Ma perché si è alzato questo polverone ? Praticamente non appena gli “utenti scrocconi” (come sono stati chiamati dai media) hanno capito di aver perso la propria opportunità di approfittarsi dell’applicazione, hanno dato di matto e hanno subito accusato l’azienda svedese. Secondo questi utenti infatti, Spotify gli avrebbe tolto qualcosa loro di diritto, andando a rubare nella loro stessa casa. Sono queste accusa prive di fondamento a mio parere (e spero non solo mio); è un po’ come se, come dice il vecchio proverbio, il bue desse del cornuto all’asino. Ma andiamo oltre.
Perché la riflessione che io vorrei stimolare non è tanto incentrata sul fatto che gli utenti abbiano torto o ragione, oppure sul constatare chi abbia rubato a chi, ma è incentrata su come tutta questa vicenda (soprattutto la reazione degli utenti) metta in mostra come sia crollato il rispetto che l’uomo nutre nei confronti dell’arte, della musica più nello specifico. Tutti ormai danno per scontato che cose come la musica, il cinema o l’arte in generale, ci siano dovute, dimenticandosi del lavoro che c’è dietro, dimenticandosi di come ciascun artista metta se stesso in ogni sua opera, e noi spettatori non dovremmo fare altro che ammirare, ringraziando chi volete ringraziare di averci donato spettacoli di questo tipo.
Concludendo, un evento di “normale amministrazione” nel mondo di internet, un classico evento di flaming, ha in realtà, a mio parere, messo in evidenza come l’uomo medio abbia perso fiducia e rispetto nei confronti dell’arte, e questa perdita è causa (o conseguenza, a seconda dei casi) della superiorità che l’individualità ha raggiunto a discapito della collettività, superando i concetti del passato. È qualcosa di realmente positivo ? Non saprei. Quel che mi sento di dire è che un mondo senza rispetto per l’arte è un mondo in cui non so se sarei felice di vivere.