Nelle sale il nuovo film di Cristopher Nolan “Tenet”, già campione di incassi, sta incuriosendo con la sua trama il pubblico e, nello stesso tempo, con la sua consueta incalzante capacità narrativa, sta facendo discutere esperti del settore e semplici amatori, lasciando talvolta entusiasti, talvolta inebetiti, talvolta delusi, talvolta annoiati, talvolta straniti, talvolta smarriti di fronte “a tanto” nella ricerca di un senso che si fa fatica ad individuare, pur se nello sfondo si coglie un delicato sfiorare problematiche ambientaliste con le inevitabili conseguenze catastrofiche, derivanti dalla mancata cura e rispetto del nostro pianeta.
Il film è, fin dalle prime scene, un crescendo di azione e tensione; trapela immediatamente il sospetto di una minaccia di guerra dai contorni non chiari con personaggi oscuri e poco delineati, sullo sfondo apocalittico della fine del mondo scatenata da nemici inizialmente invisibili e incomprensibili.
La scelta del cast incuriosisce, non è strutturata sempre bene e, a conti fatti, non risulta vincente: ritroviamo il figlio di Danzel Washington, John David Washington per il cui ruolo é definito “il protagonista”, non avrà mai un nome e, nel delinearsi del personaggio, sembra manchi qualcosa che lo faccia decollare davvero, un po’ incerto, a volte poco espressivo, a tratti dinoccolato, non nelle scene di azione ovviamente, probabilmente in ossequio ad uno specifico copione; Robert Pattinson, il re di Twilight, col suo viso un po’ irregolare, riveste il ruolo del co-protagonista Neil, agente segreto laureato in fisica, forse un po’ algido, essenziale e fin troppo misterioso, anche in momenti di forte emozione, probabilmente per non far trapelare nulla di sé come vuole la sceneggiatura ma questa tratteggiatura ne limita inevitabilmente la prestazione, curiosa l’insinuazione giornalistica – alquanto bislacca – che possa essere addirittura il figlio di Kat e di Sator; Elisabeth Debicki, attrice australiana altissima e magrissima, é la moglie del cattivo, Sator, interpretato da un irriconoscibile Kenneth Branagh, una coppia che funziona stranamente nella storia narrata anche se nell’abbinamento che non risulta mai perfettamente empatico, si evidenzia la spaccatura umana tra i due, lei risulta affascinante e misteriosa, a volte piagnucolosa, a volte isterica, a volte istintiva ma é un anello importante nell’intreccio del racconto mentre lui, il cattivo, Sator, viene rappresentato violento e vendicativo, prepotente e ossessivo, possessivo e spregiudicato nel suo essere e agire; un cameo da parte dell’amico di sempre, un veterano Michael Caine che riveste un ruolo chiave in quanto con il suo intervento di pochi sparuti minuti avvia la svolta narrativa.
Nolan ha lavorato al progetto Tenet per circa 10 anni di cui 5 alla scrittura; e il risultato di fatto risulta sì entusiasmante e intrigante per l’idea suggestiva e enigmatica del mistero su cui ha puntato l’occhio ma altresì un po’ troppo cervellotico e rompicapo.
Il tema principale ruota intorno al “tempo”, così caro al regista già in altre sue precedenti pellicole tanto da aver dichiarato che il presente lavoro è un viaggio nel tempo e nel mondo; ora però il viaggio nel tempo non é semplicemente affidato ad una fantastica macchina di trasporto, alla trappola della memoria o al mondo surreale dei sogni , bensì ad una capacità di viaggiare tra passato e futuro attraverso quella che viene definita come “manovra a tenaglia temporale” che punta sul tempo anziché sullo spazio.
Dal futuro arrivano minacce di una terza guerra mondiale, con detriti tipici di bombardamenti nucleari, conservati in un laboratorio che rivelano un mistero difficilmente spiegabile: una inversione nell’entropia degli oggetti che anticipa inspiegabilmente azioni future con effetti speciali divertenti (quale la traiettoria dei proiettili e la loro inconsueta mobilità a contatto con un guanto metallico che ha lasciato increduli e sbigottiti alcuni spettatori) e sovrapposizioni di scene e momenti vissuti dai vari personaggi, nei diversi livelli temporali, secondo i più diversi punti di vista, nello sviluppo della storia “contemporaneamente”.
L’ispirazione é storicamente datata nel tempo; Nolan prende spunto da alcune iscrizioni arcaiche, ritrovate in molteplici reperti archeologici, tra cui anche a Pompei, che nascondono un enigma che gli studiosi tutt’oggi non riescono a svelare e comprendere.
Il gioco della parola palindroma “tenet” – di doppia interpretazione perché in inglese significa “dottrina, dogma” e in un’altra chiave di lettura, dieci in entrambi i versi, numero che ricorre spesso nel film e in latino viene dal verbo tenere che significa “conservare, reggere guidare” – nasce dal palindromo ritrovato nel famigerato quadrato di Sator “sator arepo tenet opera rotas ” che significa letteralmente e secondo l’interpretazione più accolta dalla maggioranza di studiosi: il creatore, l’autore di tutte le cose, mantiene con cura le proprie opere.
Tutti gli elementi del palindromo sono presenti nel film;
1)”Sator:seminatore, creatore”, nome affibbiato – insolitamente – all’antieroe cattivo che vuole la fine del mondo;
2)”Arepo: probabilmente é un nome di persona che non si rinviene in alcun testo della lingua latina classica, anche se alcuni studiosi lo interpretano come strumento, quale la roncola o la falce, utilizzati nell’agricoltura arcaica come a voler evidenziare un lavorare, un incedere come un aratro” che dà il nome ad un altro personaggio del film, falsario di opere d’arte, amante di Kat Sator;
3) “Tenet opera rotas: ovvero reggere con cura o le opere con le ruote, forse inteso in senso metaforico come le ruote celesti del destino quasi a voler intendere una sorta di guida delle sorti della storia dell’umanità da parte di un creatore” dove Tenet é l’operazione e organizzazione segreta che regge le fila della trama, Opera é l’incipit del film, che si avvia con un attentato al teatro dell’opera di Kiev ovvero la tela del Goya, oggetto conteso nell’intrigo della storia e Rotas é il nome della società di Sator che conserva le opere d’arte in un deposito aeroportuale.
La particolarità di questo millenario quadrato a cui Nolan si é ispirato è che può essere letto in ogni verso dall’alto verso il basso e da sinistra a destra e viceversa e, nonostante sia sotto la lente di ingrandimento di studiosi e curiosi, l’iscrizione resta, tuttora, enigmatica.
Nell’interpretazione di Nolan, nel futuro l’imminente catastrofe sembra essere provocata dal riscaldamento globale che con inondazioni e stravolgimenti climatici scatena una terza guerra mondiale per il venir meno di risorse e per far fronte ad una difficile abitabilità del pianeta e, in questo ponte tra futuro e passato con una capsula metallica – una sorta di tornello con le dimensioni di una grande e tetra ascensore bronzea che genera l’inversione temporale e il sovrapporsi dello stesso personaggio nella stessa scena in grado di mutare in tempo reale il destino del passato vissuto che re-incontra – combatte la nuova entropia delle cose unita ad una minaccia della fine del mondo grazie ad un algoritmo scoperto da una scienziata del futuro e nascosto in modo da essere introvabile, scovato, però, attraverso l’aiuto del viaggio nel tempo, da spietati e spregiudicati malvagi del passato su suggerimento del futuro.
Insomma, indubbiamente, a suo modo, un capolavoro perché lo stile nolaniano resta un tratto inconfondibile che sbilancia col suo genio stravagante e con le atmosfere surreali che è in grado di realizzare e proporre al gran pubblico; confonde con la sua magistrale gestione della macchina da presa; turba con la strutturazione di una trama complicata, lunga e forse anche un po’ pretenziosa rispetto al risultato; meraviglia per la costruzione di un accavallarsi temporale delle scene che solo la sua maestria poteva abilmente governare; stona con una colonna sonora in certi casi davvero rimbombante e assordante, nonchè confusionaria, effetto sicuramente voluto e ricercato perché in perfetta combinazione con le tessere che compongono il mosaico della pellicola; stupisce perché si avverte la voglia di un progetto molto ambizioso che in alcuni momenti fallisce con un sali scendi delle reazioni e delle emozioni del pubblico in sala; stordisce per l’affanno dello spettatore a ricostruire le fila di una trama intrecciata e, in alcuni passaggi, complessa anche nell’uso compulsivo di tecnicismi fisico-matematici che richiederebbero una laurea in fisica e matematica (!?) o, perlomeno, un buon approccio alla relatività di einsteniana memoria e, a getti, confusa nel caos delle dimensioni temporali, tanto da spingerti a pensare ad un bis (?) per poterlo rivedere e osservare, seguire e, magari, comprendere, con occhi diversi e piu attenti, l’intricata storia e le sue implicazioni; stranisce, all’uscita sala si innesca immediatamente la discussione sul film, sui suoi intrecci e improvvisi continui voli temporali, sui colpi di scena quasi velati, anche quelli determinanti, come il quasi fuggevole gancetto rosso, e sulle oniriche immaginazioni nello scorrere del tempo; infine, compulsa in chi guarda la ricerca spasmodica di cogliere e comporre i pezzi del puzzle enigmatico che ha di fronte e che anche a fine film lasciano dubbi e incertezza per la storia vista e per un progetto cinematografico, che, malgrado la firma autorevole, forse non è perfettamente riuscito, pur nella gratificazione tutta angloamericana dell’happy end con la sconfitta del male e la vittoria del bene, incarnato in una serie di personaggi che si susseguono ma il cui vero artefice, denominato, neanche tanto banalmente, il “protagonista”, resterà sempre e definitivamente anonimo nel senso etimologico di “senza nome” fino alla fine!
Voto: 7/10