Mentre Federcalcio, Lega di serie A e Governo italiano si rimpallano la responsabilità di far riprendere o sospendere definitivamente il campionato, facendo pensare più ad una (squallida) partita di ping-pong che ad un incontro di calcio, cresce la nostalgia per le emozioni legate al nostro Napoli.
In questo lungo stop causato dal lockdown per il coronavirus, non rimane dunque che continuare a viaggiare con la memoria e la fantasia, ricordando i grandi giocatori azzurri del passato.
Proprio la “fantasia al potere” è il filo conduttore del “best of” di questa settimana, che passerà in rassegna i migliori “numeri 10” del club partenopeo, ovvero quei giocatori in grado di infiammare il pubblico napoletano con il loro estro e le loro giocate imprevedibili.
Ovviamente in questa graduatoria (stilata in ordine temporale, come di consueto) ci saranno anche fantasisti che, avendo giocato nel Napoli dopo il (sacrosanto) ritiro della “10”, non hanno potuto indossarla, ma che ne sarebbero stati assolutamente degni.
Omar Sivori (1965-1968)
L’arrivo di Omar a Napoli dopo 8 anni di Juventus fece tutti contenti: sia i tifosi azzurri, che grazie all’arrivo del “Cabezòn” e del bomber Josè Altafini sognavano la conquista del tanto agognato scudetto, sia lo stesso fuoriclasse argentino, che non vedeva l’ora di liberarsi dei metodi inflessibili di Heriberto Herrera, allenatore bianconero col quale il feeling non era mai sbocciato.
Alla Juventus e ad Herrera è legata però anche la fine del rapporto tra Sivori ed il Napoli, e addirittura la conclusione della sua carriera: il 1 Dicembre 1968 Omar fu espulso durante un Napoli-Juventus per una violenta reazione all’ennesimo fallo del difensore Favalli, a cui Herrera aveva dato il compito di far innervosire il bizzoso argentino.
La rissa che ne seguì vide coinvolti Salvadore e Panzanato, che come Sivori subirono una lunga squalifica: il fantasista sudamericano, per protesta contro una decisione a suo dire ingiusta, decise di appendere le scarpe al chiodo.
Nei 3 anni e mezzo trascorsi all’ombra del Vesuvio Sivori, nonostante alcuni gravi infortuni, riuscì ad entrare nel cuore dei supporters azzurri grazie ai gol (12) ed ai tanti colpi di genio; pur non vincendo lo scudetto, quel Napoli ottenne un secondo, un terzo ed un quarto posto, vincendo anche la Coppa delle Alpi nel 1966.
Salvatore Esposito (1972-1977)
Il Napoli allenato da Luìs Vinicio non ha vinto lo scudetto, ma nell’immaginario dei tifosi azzurri dell’epoca resta una squadra fantastica, in grado di esprimere un calcio coraggioso ed offensivo.
In quel Napoli bello e sfortunato la numero 10 la indossava “Ciccio” Esposito, napoletano di Torre Annunziata che con la Fiorentina del “Petisso” Pesaola lo scudetto lo aveva vinto nel 1969, e che con Juliano ed Orlandini diede vita ad un centrocampo di sostanza e qualità.
Nel solco della modernità di quel Napoli, Esposito coniugava la capacità di correre, cambiare ritmo e difendere palla con la precisione nel servire i vari Massa, Clerici e Braglia.
Come sappiamo, il gol di “core ‘ngrato” Altafini nella sfida del 6 Aprile 1975 tolse al Napoli di “O’ Lione” e di Esposito la gioia del trionfo in campionato, ma con la maglia azzurra (indossata 128 volte con 6 gol) Esposito vinse comunque la Coppa Italia nel 1976.
Gianfranco Zola (1989-1993)
Difficilmente la “10” del Napoli, dopo il traumatico addio di Maradona, avrebbe potuto avere un proprietario più degno.
Il piccolo fantasista sardo fu pescato nell’estate del 1989 dal DG del Napoli, Luciano Moggi, che lo prelevò dalla Torres in serie C1.
Pur consapevole del proprio ruolo di comprimario, Zola seppe farsi trovare pronto e a dare un contributo importante alla conquista del secondo scudetto azzurro, come dimostra il gol vittoria contro il Genoa in un momento cruciale del campionato.
Ereditata la maglia ed il posto in campo da Diego, il trequartista nativo di Oliena dimostrò di aver imparato tanto dal più grande di tutti, grazie alla sua proverbiale umiltà: nonostante il lento declino del club azzurro, Zola deliziò il pubblico con magie su punizione, assist e gol.
Il prosieguo della carriera con Parma e Chelsea consentì a “magic box” di raccogliere soddisfazioni e altri trofei, ma il legame tra Zola e la città di Napoli resta tuttora fortissimo.
Ezequiel Lavezzi (2007-2012)
Il giorno della presentazione di Ezequiel Lavezzi (e di un certo Marek Hamsik…) il Napoli fu contestato dai tifosi per aver acquistato giocatori praticamente sconosciuti al pubblico.
Il “Pocho”, però, impiegò pochissime partite per entrare nel cuore dei supporters partenopei, grazie agli scatti brucianti, agli assist, ai gol ed alle tante giocate ricche di fantasia e coraggio.
Argentino come il più illustre tra i trequartisti azzurri, Lavezzi guidò il Napoli neopromosso di Aurelio De Laurentiis in un percorso di crescita che portò i partenopei in poche stagioni fino al prestigioso palcoscenico della Champions League.
Il “Pocho” fece anche in tempo a vincere la Coppa Italia nel 2012, risultando anche in quel caso decisivo: riuscì infatti, con una delle sue proverbiali accelerazioni, a procurarsi il rigore poi trasformato da Cavani per l’1-0 nella finale contro la Juventus del 20 Maggio.
Miglior modo per concludere la sua avventura a Napoli, Lavezzi non avrebbe potuto immaginarlo.
Lorenzo Insigne (2012-?)
“Un napoletano per giocare a Napoli deve avere coraggio”: parole di Totò Di Natale, bomber napoletano dell’Udinese (che a Napoli non ha voluto mai giocare), perfette per descrivere la severità del pubblico del San Paolo nei confronti dei propri “figli”.
Sarà per questo (oltre che per un carattere difficile) che Lorenzo Insigne, nato a Frattamaggiore e cresciuto nel settore giovanile del Napoli, ha avuto ed ha tuttora un rapporto complicato con i tifosi partenopei.
L’attaccamento di Lorenzo alla maglia azzurra non è però in discussione, così come non è in discussione il suo cristallino talento, che gli ha consentito di realizzare, in 6 stagioni e mezzo, ben 86 gol oltre ad innumerevoli assist (chiedere a Callejon…), e di diventare un punto fermo della Nazionale Italiana, dove indossa la “10” e con la quale ha già disputato un Mondiale (nel 2014) ed un Europeo (nel 2016).
Insigne ha inoltre dimostrato di saper essere determinante nei big match: basti pensare alla doppietta nella finale di Coppa Italia del 3 Maggio 2014 contro la Fiorentina, ai gol decisivi segnati a Juventus, Roma e Milan, e soprattutto alle tante reti realizzate in Champions League: Borussia Dortmund, Liverpool, Paris St. Germain le illustri “vittime” di Lorenzo, senza dimenticare la magia del Santiago Bernabeu contro il Real Madrid.
Si è parlato tante volte di un addio di Lorenzinho al Napoli, ma il feeling con il nuovo allenatore Gattuso ha riavvicinato le parti, ed ora l’ormai capitano azzurro può sognare di chiudere la carriera da bandiera del club, provando a regalare un grande trionfo alla sua gente.
I grandi esclusi
La “numero 10” del Napoli è stata ovviamente indossata da altri protagonisti che non vanno dimenticati: basti pensare al compianto Nino Musella, che con il Napoli di Marchesi e Krol sfiorò lo scudetto nel 1981, oppure a Josè Dirceu, giramondo brasiliano che lasciò Napoli dopo una sola (buona) stagione per lasciar spazio ad un ben più celebre “10” argentino.
Un solo anno a Napoli lo trascorse anche Benny Carbone, che nel 1995 trascinò un Napoli modesto ad un passo dalla qualificazione UEFA, sfumata solo per il gol dell’interista Delvecchio contro il Padova, all’ultimo secondo dell’ultima giornata, consentendo ai nerazzurri di scavalcare i partenopei.
Ironia della sorte, Carbone si trasferì proprio all’Inter, dove però non ebbe molta fortuna.
L’anno prima il Napoli la qualificazione UEFA all’ultima giornata la centrò, ed a trascinarlo fu Paolo Di Canio, che pur non indossando spesso la “10” aveva classe e talento da fantasista.
Un suo gol allo Zaccheria di Foggia, in un primo maggio 1994 purtroppo indimenticabile per la morte di Ayrton Senna, regalò agli azzurri il pass per l’Europa.
FUORI CONCORSO – D10S: Diego Armando Maradona (1984-1991)
Sarebbe stato irrispettoso mettere a confronto grandi giocatori “umani” con il Dio del calcio sceso in terra, che per la fortuna del Napoli e dei tifosi che hanno avuto il privilegio di vederlo giocare, ha regalato al club azzurro 7 anni di magie e trionfi, dando il meglio di sé nelle stagioni passate all’ombra del Vesuvio.
Arrivato a Napoli nel 1984, Diego diventò rapidamente il punto di riferimento di una squadra che seppe rendere vincente, riuscendo a ribaltare le granitiche gerarchie del mondo del pallone ed a battere le potenze del Nord.
Amatissimo dai compagni prima ancora che dai tifosi per la capacità di difenderli e guidarli, Maradona non si sottrasse al compito assegnatogli da un’intera città: quello di leader fuori e dentro il rettangolo di gioco, in un processo di riscatto nei confronti del Belpaese che nel calcio aveva il suo simbolo più evidente.
I 115 gol in maglia azzurra, i due scudetti, la Coppa Italia, la Coppa UEFA e la Supercoppa Italiana conquistate in quelle stagioni rendono quindi solo in parte l’idea di quanto il “Pibe De Oro” abbia inciso nella storia del Napoli (che non avrebbe più raggiunto vette simili), ma aiutano a capire perché Diego sia diventato un’autentica leggenda per i napoletani, che di padre in figlio raccontano le sue gesta alle generazioni successive ed alimentano una venerazione destinata a non esaurirsi mai.
Inevitabile, quindi, la scelta del Napoli di non far più indossare ad altri la propria “10”, così come sarebbe impossibile, per chi scrive e per chi legge, scegliere un fantasista migliore del fuoriclasse argentino.
Del resto, questo viaggio nella storia della nostra squadra attraverso i ritratti dei giocatori che l’hanno resa grande, non poteva che concludersi con il più forte di tutti.