Spielberg, ora 71enne, torna ventenne quando si posiziona dietro la cinepresa di Ready Player One. Il leggendario regista della New Hollywood si distacca dal cinema più “serioso” (The Post, Il ponte delle spie, Lincoln) che ha diretto negli ultimi anni, per riimmergersi in quel mondo fantastico che ha dato benzina ai suoi più grandi classici, Indiana Jones, E.T., Incontri ravvicinati del terzo tipo, Minority Report. Il regista ha più volte sentito il bisogno di precisare di come si trattasse di “un movie e non un film”. Infatti questo movie è un turbolento ricettacolo di citazioni alla pop-culture dagli anni ’80 fino al quasi contemporaneo.
La storia segue Wade Watts (Tye Sheridan) e Parzival, il suo avatar su OASIS – un videogioco dove si può essere qualsiasi cosa, che si gioca in realtà virtuale e che è arrivato a sostituire la vita di ogni giorno. Qui è da anni in corso una gara alla ricerca di un easter egg (termine per indicare la presenza segreta di un elemento divertente all’interno di un videogioco) messo in OASIS dal suo creatore James Halliday (Mark Rylance) e rivelato al momento della sua morte. La gara si svolge in tre sfide, tra corse in una New York assediata da King Kong e dal T-Rex di Jurassic Park e l’Overlook Hotel di Shining e il premio è la gestione totale di OASIS, valutato per mezzo miliardo di dollari. Oltre a milioni di giocatori, a voler il premio c’è anche la IOI, una spietata corporazione di realtà virtuale che vuol aggiudicarsi il monopolio di questo campo e massimizzare i propri guadagni.
La trama quindi è duplice: una parte ambientata in OASIS, dove seguiamo gli avatar e una parte ambientata nella vita di ogni giorno, o come si dice nel gergo irl (in real life), un po’ come Matrix. Ma a questa duplicità narrativa si accompagna una duplicità tecnica: tutta la parte videoludica è creata come se si trattasse di un videogioco (ma con più attenzione alla verosimiglianza). Per ottenere il miglior risultato possibile il regista si è rivolto a ad una delle migliori sul mercato: Industrial Light & Magic, la compagnia fondata da George Lucas per Star Wars (di cui non potevano mancare riferimenti nel film), con cui si è visto tre volte a settimana per tre ore, arrivando a definire il film “il più difficile che abbia mai girato dopo Salvate il soldato Ryan“. E per fortuna il risultato è ottimo, evitando la facile sensazione di guardare un videogioco giocato da qualcun altro, come succede in Final Fantasy: The Spirits Whithin (2001), il film dell’omonimo videogioco, icona dei film girati in computer grafica, che si rivelò un flop totale.
OASIS si rivela quindi il medium perfetto per permettere a Spielberg di dare libero sfogo a tutta la sua creatività e dare spazio a tutte le sue icone pop. In ogni fotogramma è possibile riconoscere qualcuno o qualcosa, facendo si che il film abbia il potenziale di diventare la bibbia di qualsiasi geek, nerd, gamer o che sia – anche perché, parliamoci chiaro (spoiler alert!): chi non ha mai sognato di vedere Mecha-Godzilla, Gundam e il Gigante di Ferro combattere tra di loro? (fine spoiler alert). Ma oltre ad essere una realtà alternativa, un videogioco, un’enorme fonte di cultura pop è anche una metafora del nostro atteggiamento nei confronti della vita digitale, che arriva ad occupare uno spazio sempre più imponente nelle nostre vite. Insomma, una realtà quasi distopica che diventa avvertimento di quello che potrà succedere da qua a qualche decennio.